Il silenzio del 14enne superstite davanti alle tre bare bianche
Il ragazzino ha disegnato per il feretro del fratellino la bandiera dei 4 mori. Folla enorme nella chiesa per l’addio a Giusi, Martina e Francesco
Nuoro Giusi è al centro, Martina a sinistra, Francesco a destra. Le tre bare bianche, i due figli ai lati, come fossero due scudieri impegnati in un estremo atto di protezione verso la mamma. Sono tutti vittime del marito, e padre, Roberto Gleboni. Al primo banco, nella chiesa di San Domenico Savio, prende posto il figlio adolescente di Giusi, scampato alla strage di una settimana fa. Lui ha disegnato una sorta di bandiera che avvolge la bara del fratellino: lo stemma dei quattro mori e le loro iniziali. Codici d’amore tra fratelli, più tenaci della morte.
Il 14enne arriva nel santuario un po’ prima che inizi la celebrazione, questa creatura catapultata in una realtà che ha mostrato il suo volto orribile. Scortato dal suo tutore, l’avvocato Antonio Cualbu, e dal team di psicologi che lo sta accompagnando in un percorso faticosissimo, porta ancora i segni del colpo che il padre gli ha esploso contro. Al suo ingresso, un mormorio sale dalle migliaia di persone, molte delle quali sono arrivate anche ore prima che iniziasse la funzione. C’è un silenzio composto, e non è solo per la richiesta espressa dalla famiglia di non presentare le condoglianze. È il silenzio della città che non ha più parole, lacrime. Il fidanzato di Martina, Francesco, sta defilato: è suo il cuscino di rose rosse adagiato sulla bara della giovane, l’unica colorata rispetto alle rose e agli anturium bianchi degli altri copribara.
L’imponente servizio d’ordine, anche con i volontari della parrocchia, quasi non serve: alla famiglia Massetti-Capelli sono riservati 24 banchi, i primi sei per quattro file; e sempre in prima fila, ma accanto, ci sono il commissario straordinario Giovanni Pirisi, la prefetta Alessandra Nigro, il questore Alfonso Polverino e il comandante dei carabinieri Gennaro Cassese. C’è il gonfalone della città. E ci sono i bambini, i compagni di scuola di Francesco, alcuni con il grembiulino blu. Fiori, bigliettini, le maestre e i genitori vicini. Anche le amiche di Giusi, e di Martina, e alcuni impiegati del tribunale dove la ragazza aveva svolto il tirocinio. Poi il coro della parrocchia, e quello di Nuoro. Note e musica per lenire le ferite dell’anima, chi canta prega due volte, secondo quanto attribuito a Sant’Agostino. E per chi crede, qui di preghiere c’è un gran bisogno.
«Pochi mesi fa Francesco ha fatto la prima comunione, lo ricordiamo in quei giorni», dice don Stefano Paba, il parroco di San Domenico Savio. Con lui ci sono altri dieci sacerdoti della città, diaconi. Manca il vescovo Antonello Mura, impegnato fuori sede. «Siamo qui, davanti a un dolore così grande che non sembrano esserci parole – continua –. Sembra impossibile superare questa croce, e infatti la croce va presa. E l’unico modo per superarla è l’amore», dice il sacerdote. Nella preghiera dei fedeli si fa riferimento anche «al nostro fratello Paolo e al nostro fratello Roberto», riferendosi a Paolo Sanna, l’altra vittima di Roberto Gleboni, e allo stesso omicida: «Per il nostro fratello Roberto, Dio l’accolga dove non c’è più ansia, nella pace e nell’amore».
Ci sono i canti della parrocchia che accompagnano le preghiere, e “Su Perdonu” intonato dal Coro di Nuoro di cui Salvatore Massetti, padre di Giusi e nonno di Martina e Francesco, è un componente. E proprio come il giorno della strage, ha un malore, al punto da far intervenire gli addetti al soccorso.
La funzione termina con un rinnovato invito a presentare le condoglianze in cimitero. Un applauso saluta l’uscita delle tre bare. Non sembra vero aver appena dato l’addio a una giovane mamma, una ragazza e un bambino. C’è il sole, sembrano i supplementari dell’estate, ma nessuno sembra farci caso.
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