La Nuova Sardegna

L’intervista

Dalia Kaddari: «Corro veloce verso Los Angeles e una famiglia»

di Andrea Sini
Dalia Kaddari: «Corro veloce verso Los Angeles e una famiglia»

La sprinter azzurra e il desiderio di maternità: «Mi piacerebbe diventare una mamma atleta»

06 ottobre 2024
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Il sorriso è di quelli da copertina patinata e il segreto per tenerlo sempre acceso è guardare ogni esperienza dalla giusta angolazione. Anche una stagione andata storta per un infortunio, persino un’olimpiade affrontata stringendo i denti, all’inseguimento di una condizione che non c’era, possono rappresentare un’opportunità per crescere e ripartire.

Dalia Kaddari dopo i Giochi di Parigi ha staccato la spina per un po’ e ora, alla ripresa degli allenamenti, ha le idee ancora più chiare sui prossimi obiettivi e su cosa servirà tirare fuori per raggiungerli. «So quanto valgo e dove voglio arrivare. In mezzo c’è tantissimo lavoro da fare ma questa è l’ultima cosa che mi spaventa», dice la velocista di Quartu, 23 anni, campionessa europea under 23 dei 200 metri piani a Tallinn tre anni fa, quattro volte campionessa italiana sulla stessa distanza, due partecipazioni alle Olimpiadi già inserite nel bagaglio personale. Poliziotta e studentessa in criminologia, ha già un sogno collocato poco oltre l’orizzonte: diventare una mamma atleta.

Due olimpiadi, nessuna medaglia. Va bene lo stesso?

«Va bene nel senso che sono state due esperienze diverse e in qualche modo molto formative. A Tokyo avevo vent’anni, non c’erano tifosi, il clima era particolare. Io ero alla prima esperienza a quei livelli ed ero un po’ agitata. A Parigi è stato bellissimo, un’esperienza unica, anche se mi sarebbe piaciuto viverla in maniera un po’ diversa».

Si riferisce alla condizione?

«È stata un’annata molto difficile, che non era iniziata bene ed è finita non benissimo. Mi sono infortunata a un mese e mezzo dai Giochi, ho fatto di tutto per ritrovare la condizione ma non è stato possibile. Ma sono felice della consapevolezza che ho acquistato in questi anni».

In che senso?

«Sono stata in qualche modo resiliente. Altri avrebbero mollato o avrebbero scelto di risparmiarsi per la staffetta e non fare la gara individuale. Sapevo che non avevo nelle gambe i miei tempi ma ho scelto di correre ugualmente, perché nessuno mi aveva regalato nulla e se ero là è perché me lo ero guadagnato e meritato sul campo. Ho sofferto, ho fatto terapia con il mio team e sono scesa in pista. Lo sport è questo: è imprevedibile, non puoi sapere cosa accadrà, devi accettare i momenti. Per questo sono fiera del mio atteggiamento: esserci è stato comunque un successo, un nuovo punto di partenza».

Verso dove?

«Verso i nuovi obiettivi. Martedì ho ripreso ad allenarmi e nella mia mente c’è stampata una cosa: Los Angeles 2028. Con il proposito di arrivarci finalmente nelle migliori condizioni. È evidente che da qui al traguardo ci sono tantissimi allenamenti, tante gare e tanti obiettivi intermedi. Ma dopo avere ricaricato le pile e smaltito un po’ di scorie e stanchezza, sono più pronta che mai ad affrontare ogni step».

Cos’altro si porta dentro di Parigi 2024?

«L’emozione di correre nello stadio olimpico pieno. L’orgoglio di indossare la maglia azzurra al cospetto dei migliori atleti del mondo. La gioia di vedere i successi dei miei compagni e compagne sardi, da Maggetti a Orro».

Nessuna invidia?

«Neanche per sogno, è l’esatto contrario. Avere visto i loro successi, le loro vittorie strappate con le unghie, mi dà una carica e una forza che mi torneranno utili durante il mio percorso».

Oggi il mondo dell’atletica italiana è popolato da personaggi positivi che piacciono al pubblico. E di tanti giovani che incarnano una generazione di ragazzi figli dei tempi. Come lei, che ha una mamma sarda e un papà marocchino.

«Sono fiera delle mie origini e sono fierissima di indossare i colori della nazionale italiana. L’Italia di oggi e di domani è questa. Come Jacobs, come tanti altri. Ci sono provenienze diverse ma un unico grande attaccamento a questi colori. Lo sport ha una forza straordinaria nell’unire le persone, e questo è molto bello».

Ha mai avuto problemi di razzismo per la sua “metà” africana?

«Mai. Ma ho le spalle larghe, se mai capitasse mi farei rispettare».

Su Instagram ha 140 mila follower e ormai il suo è un volto familiare a chi segue lo sport. Qual è il suo rapporto con la fama?

«I social fanno parte ormai del percorso di ogni personaggio pubblico. Poi dipende da cosa vuoi trasmettere: a me per esempio, più che la mia vita privata, piace condividere ciò che ha a che fare con la mia personalità e la vita di Dalia atleta, tra vittorie e sconfitte. Cerco di trasmettere messaggi positivi: se usati con il giusto equilibrio, i social possono essere utili anche ai ragazzi che vorrebbero intraprendere la nostra strada».

A 23 anni è ancora presto per pensare di mettere su famiglia?

«In realtà no. Nel senso che mi piacerebbe fare la mamma ma ancora di più fare la mamma atleta. Ora magari è presto e se ne potrà parlare dopo Los Angeles, ma ho visto altre atlete che sono diventate mamme e poi hanno continuato a correre ad alti livelli. Sarebbe una cosa bellissima».

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