La Nuova Sardegna

Intervista

Tennis, Angelo Binaghi: «Un anno magico.Sinner? Da subito ci avevo visto giusto»

di Luigi Soriga
Tennis, Angelo Binaghi: «Un anno magico.Sinner? Da subito ci avevo visto giusto»

Il presidente Fitp si racconta: «Sono un tifoso, da ex giocatore quando guardo le partite soffro»

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Sarebbe bello poter masterizzare un anno così denso di successi ed emozioni. E poi, negli anni un po’ più avari di soddisfazioni, toglierlo fuori dal cassetto del tempo e riprodurlo nella realtà. Nove giocatori nei primi 100 al mondo, Sinner in vetta, il trionfo alle Atp Finals (confermate per altri 5 anni in Italia), e ancora Coppa Davis e Billie Jean King Cup. Se il tennis italiano volesse rivivere il suo periodo magico, nell’etichetta ci sarebbe scritto 2024.

Tra gli autori di questo meraviglioso cortometraggio sportivo ci sarebbe anche il nome di Angelo Binaghi, cagliaritano, 64 anni, 24 dei quali trascorsi al timone della Federazione Italiana Tennis e Padel. Un’altra bella fetta della sua vita l’ha trascorsa sui campi da tennis, a cominciare da quelli del Club di Monte Urpino a Cagliari, dove ha impugnato la prima racchetta per poi diventare numero 16 nella classifica italiana.

Che giocatore era Binaghi?

«Ero un pirata, facevo delle incursioni a rete anche azzardate. Mi piaceva il serve and volley, anzi, per dirla tutta, era l’unico schema che potevo permettermi con il mio fisico. Non ero esattamente il massimo della prestanza e dell’atletismo, perché studiavo e mi potevo allenare molto meno degli altri. All’epoca i miei giocatori preferiti erano John McEnroe, Stefan Edberg e Yannick Noah, tutta gente che a rete aveva una discreta mano».
 

Domanda scontata, così come la risposta. Ora qual è il suo tennista preferito?

«E vabbè, cos’altro potrei dire? Naturalmente è Sinner. Senza dubbio il numero 1 al mondo, con una superiorità rispetto agli avversari che in questo momento è sotto gli occhi di tutti».

Ci racconti la prima volta che ha sentito parlare di lui.

«Ho avuto informazioni di primissima mano, fonte molto confidenziale e di fiducia: mio figlio. Aveva disputato in Tunisia un torneo di doppio con Sinner, e mi parlò di questo compagno più piccolo di lui, ma che già era molto forte e prometteva bene. A quell’epoca avrà avuto circa 17 anni, e assieme a mio figlio approdarono alle semifinali, ma poi dovettero ritirarsi perché Jannik si infortunò».

E del suo primo incontro con lui cosa ricorda?

«Ci siamo visti negli spogliatoi durante la Next Generation degli Atp Finals del 2019. Lui è stato il primo italiano a vincere questa competizione, e così sono andato a congratularmi. Mi ha colpito per l’educazione e per la semplicità. In campo si vedeva già il suo enorme valore, da un punto di vista tecnico era di altissimo livello. Però doveva ancora colmare alcune lacune fisiche, era un po’ acerbo. Mi ricordava un po’ Venus Williams: potenzialità incredibili, ma difficoltà atletiche nel coprire il campo. Poi la tenacia e la determinazione di Sinner hanno disegnato un giocatore completo, senza punti deboli: ormai negli spostamenti è un razzo, ha migliorato il servizio e anche a rete sa essere incisivo».

Lei avrebbe scommesso su di lui? Pensava che potesse diventare il numero 1?

«Era il periodo in cui Alcaraz era esploso, e tutti erano fissati con lo spagnolo. Spettacolare, solido, rapidissimo, grintoso. Ma a quelli che dicevano, magari averne uno così in Italia, io rispondevo: tutta la vita Sinner. Dategli tempo, e ne riparliamo. E anche quando tutti ne hanno detto peste e corna perché decise di non disputare la Coppa Davis, io l’ho difeso con il coltello tra i denti. Lasciatelo in pace, fatelo allenare con serenità: i risultati arriveranno. Sinner ha qualcosa di speciale».

Che cosa, secondo lei?

«La forza mentale, la cultura del lavoro, il senso del dovere e del sacrificio. L’ossessione a migliorarsi. In questo sì, è ben poco italiano. E questa sua professionalità ha fatto la differenza».

Alcuni lo criticano per essere troppo serioso, per non lasciarsi andare. Però nell’intervista con Chiambretti a Super Tennis ha mostrato anche il lato scherzoso e divertente del suo carattere. Com’è Sinner fuori dal campo?

«Guardate che è un ragazzo simpaticissimo. Non è un caso che la gente gli voglia così bene e sia un modello positivo per lo sport e per i ragazzi. È che a lui di stare davanti a un microfono o a una telecamera, non gliene può fregar di meno. Anche in questo è poco italiano. Certi suoi colleghi farebbero a gara per partecipare a certe trasmissioni. A lui ce lo devi portare con la forza. Chiedetelo a quelli di Porta a Porta quante volte lo hanno invitato, oppure a Sanremo. Niente: a questo ragazzo di apparire non gliene frega niente. Poi, le poche volte che finisce in Tv, come con Chiambretti, buca lo schermo, perché è spontaneo e sorridente, e si fa voler bene».

È mai andato a cena con lui o con gli altri giocatori?

«Con Sinner a cena? Direi di no. Ma nemmeno con gli altri. Ormai non funziona più così: i tempi in cui i tennisti si concedevano distrazioni e facevano le ore piccole sono passati. Dopo le vittorie i tennisti vanno a cena con il proprio team e programmano allenamenti, date, tornei. E poi io sono per i dirigenti che si muovono dietro le quinte, che non sono invadenti e non si mettono in mostra. Preferisco essere un compagno discreto che supporta a distanza».

Io le faccio un nome, lei mi dice cosa ne pensa. Partiamo con Berrettini.

«Un grande leader, un trascinatore assoluto. Il giorno che smetterà di giocare, e spero sia il più tardi possibile, io lo vedo benissimo come capitano della nazionale, nel ruolo che ora ha Volandri. È stato capace di motivare i ragazzi nella scorsa Coppa Davis dalla panchina, quando non ha potuto giocare, e quest’anno è stato assoluto protagonista. Un carisma che non è da tutti».

Jasmine Paolini.

«Ecco, se devo essere sincero, quella sulla quale nessuno avrebbe scommesso un centesimo che avrebbe fatto risultati così straordinari, compreso il sottoscritto, è proprio lei. E invece ci ha smentito tutti, e sono molto fiero di questa ragazza. È stata la più grande sorpresa del 2024, ancora più di Sinner. Ha un grande talento che le consente di tenere testa ad avversarie molto più prestanti di lei, e poi ha tecnica e senso tattico. E un allenatore eccezionale che l’ha fatta crescere di anno in anno».

Lorenzo Musetti

«Lui è ancora un talento inespresso. Enormi potenzialità, sembra essere sulla via giusta per decollare, ma in altri momenti si perde. È un vero peccato. Speriamo trovi la giusta continuità».

Matteo Arnaldi

«Velocissimo, un gatto. Se migliorerà il servizio, si toglierà molte soddisfazioni».

Rafa Nadal

«Il migliore di tutti, di gran lunga, soprattutto fuori dal campo. In 24 anni l’ho incrociato tante volte, tra un torneo e l’altro. E Nadal è davvero un tennista speciale: un vero signore, educato, amatissimo dai tifosi, uno che ha dato tantissimo al tennis e ha fatto appassionare generazioni. Secondo me ancora più di Federer, che di persona, per mia esperienza, non ha la stessa gentilezza e simpatia di Nadal. E stesso discorso per Djockovic: certamente il pallettaro più forte del mondo, ma che secondo me non ha lo spessore sportivo e umano di Nadal».

Quando lei guarda una partita è più giocatore o presidente?

«Sono soprattutto tifoso, il più accanito dei tifosi. E poi sono ex giocatore. E questo è un mix terribile: perché soffro, so cosa passa nella testa dei giocatori in certi momenti, perché l’ho vissuto sulla mia pelle. E poi sono molto superstizioso, come la maggior parte dei tennisti. Quindi potete immaginare come vivo certe partite».

Quella che l’ha fatta più emozionare?

«Ce ne sono diverse, ma se devo proprio scegliere, il momento più commovente è stato a Parigi in occasione del Roland Garros, quando Sinner è diventato numero uno al mondo. In quel momento si scriveva la storia: Jannik è stato il primo italiano a riuscire in questa impresa».

Lei gioca ancora a tennis? Cos’ha di speciale questo sport?

«Ogni tanto, compatibilmente all’età e agli impegni, prendo la racchetta in mano e faccio qualche doppietto. Il tennis d’altronde è lo sport che allunga di più la vita, ti regala almeno dieci anni e non lo dice Binaghi, lo dicono gli studi scientifici. E poi i giochi con la palla sono in assoluto i più divertenti: per me il basket se si parla di giochi di squadra, e il tennis tra gli individuali. In più il tennis ti dà una bella scorza, ti insegna a prendere decisioni rapide, ti fa crescere in termini di responsabilità. Per i bambini è una palestra di vita eccezionale».

E il padel? Lei ha avuto l’intuizione di aggiungere la P alla vecchia sigla Fit. Ma qualcuno, tipo Nicola Pietrangeli, sostiene che la P stia per pippe. Il padel è lo sport delle pippe: è d’accordo?

«In un certo senso lo sono. Perché la forza straordinaria del Padel è esattamente questa: anche una pippa, la prima volta che entra in campo, è capace di divertirsi. Al contrario del tennis, dove per buttare la palla dall’altra parte e fare due scambi, ci vuole anche un anno di allenamenti».

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