La Nuova Sardegna

L’EDITORIALE

Papa Francesco, spartiacque nella storia della Chiesa

di Giacomo Bedeschi
Papa Francesco, spartiacque nella storia della Chiesa

Il commento del direttore de La Nuova Sardegna

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Voleva essere papa sino alla fine, e l’ha fatto, resistendo finché ha potuto, senza cedere al pudore umano dettato dalla sofferenza, illudendoci forse che non fosse ancora il tempo dell’addio.

Se n’è andato, papa Francesco, seguendo l’eccezionalità che è stata un tratto portante del suo pontificato, proprio nel giorno di Pasquetta, non prima di aver celebrato, a fatica, la sua ultima Pasqua benedicendo in latino i fedeli e urlando la sua rabbia per un mondo che continua a comportarsi alla rovescia, dicendo «no al riarmo», ricordando la «martoriata Ucraina» e parlando ancora una volta di Gaza e di una «situazione ignobile». Ora si apre la successione e la Chiesa e il mondo intero per giorni saranno impegnati a guardare oltre. Poi verrà il momento di fare i conti con questo pontefice che i «fratelli cardinali» erano «andati a prendere quasi alla fine del mondo». Molti di noi ancora non capiscono la portata eccezionale del suo pontificato, forse lo realizzeremo nel lungo e tormentato complesso di digestione della storia. Bergoglio è stato a modo suo un rivoluzionario. Non della dottrina, come temeva qualcuno che ha sempre alimentato sospetti sul suo pontificato contrapponendolo a quello del suo predecessore. Lo è stato più che altro nei costumi, nell’aspetto, nella sua capacità di comunicare e nella scelta dei temi. Se Wojtyla aveva attraversato la contrapposizione dei mondi politici, Francesco ha solcato il mare delle disuguaglianze, delle sperequazioni tra le ricchezze, cercando di affievolirne i venti di tempesta. È stato Bergoglio un papa anti sistema, se così intendiamo quel secolare apparato fatto di ricchezza, opulenza, privilegi e gestione del potere. Lo è stato da subito, da quella sera in cui si affacciò su piazza San Pietro chiedendo ai fedeli di pregare per lui e per Benedetto XVI. La sua attitudine alla semplicità, a rovesciare schemi ancorati a un modo millenario di interpretare la Chiesa hanno finito inevitabilmente per fargli perdere l’appoggio di una parte della Curia, spaventata da una possibile perdita di benefici personali. Il papa venuto dal Sudamerica, abituato a misurarsi nei difficili fondali della fragilità umana e della povertà, con quel suo innato istinto all’inclusione e alla difesa degli ultimi, è piaciuto più alle masse che allo stesso apparato pontificio. In fondo, poco dopo la sua elezione nel 2013, aveva chiarito subito quale strada avrebbe imboccato lui, primo papa gesuita nella storia della Chiesa: «Perché mi chiamo Francesco? Perché lui ha incarnato la povertà. Io voglio una Chiesa povera per i poveri». Certo Francesco è stato un progressista. Ma non uno scardinatore dell’ordinamento. Con lui non sono arrivate le riforme che molti in Vaticano avevano temuto (e contrastato), a partire dal diritto di matrimonio per il clero, ma una infinità di aperture (doverose), al passo con il tempo che viviamo. Alcune finirono per scatenare applausi laici ma inevitabili irritazioni conservatrici: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». Ora è scontato e legittimo chiedersi cosa accadrà alla Chiesa. Se la propulsione verso il rinnovamento e l’apertura innescata da Francesco si esaurirà con la sua morte o proseguirà. Tutto dipenderà da chi sarà ad affacciarsi tra qualche giorno al balcone di piazza San Pietro. Capiremo se la Curia romana è decisa a puntare ancora sul cambiamento o a scegliere la via della tradizione. Comunque sia, dopo il papa venuto quasi dalla fine del mondo, nulla nella Chiesa sarà uguale a prima.

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