Ecco il “vino nuragico” fermentato nelle anfore antiche di Sant’Imbenia
L’idea è dell’artigiano nuorese Antonio Arcadu: i primi esemplari di “Simbenia” presentati in una conferenza a Lussemburgo
Sassari Una passione può portare lontano. Geograficamente, dalla Sardegna al centro dell’Europa, per esempio. E nel tempo, dai giorni nostri a duemila anni e passa indietro. Tutto racchiuso in calici di vino bianco. Vino bianco nuragico. Realizzato come facevano gli antichi.
Circa 48 ore fa nel Teatro gallo-romano di Dalheim, cittadina nel sud del Lussemburgo, i riflettori puntavano un progetto, portato avanti da un ambizioso artigiano sardo, che ricrea le anfore nuragiche e ora come allora le usa per la vinificazione. Sono nate le prime bottiglie, sperimentali, di vino fatto tale e quale a due millenni fa. Dentro, gli stessi sapori dei nostri avi.
Antonio Arcadu, nuorese, artigiano industriale e modellista per un grande marchio motociclistico, insomma un’eccellenza dell’isola, ha dato sfogo, con il progetto “Simbenia”, a una ricerca cominciata qualche anno fa. Visitando le cantine italiane, della Francia, della Spagna, e del Giappone, scopre l’antica tradizione della vinificazione dentro le anfore di terracotta. Contestualmente, il fulcro diventa Alghero. Il sito archeologico di Sant’Imbenia, proprio lì dove sono state ritrovate delle antiche anfore nuragiche. Sembra un segno del destino. «Devo ringraziare la professoressa Anna Depalmas per il prezioso contributo nella ricostruzione fedele». Docente di Preistoria e protostoria all’Università di Sassari e direttrice del Ripam, Depalmas ha definito le proporzioni esatte. Così Arcadu, con gli artigiani di Artenova Terrecotte, ne ha create sette.
Non erano solo dei contenitori per permettere alle merci, e al vino stesso, di viaggiare nel bel mezzo degli scambi del passato. Sì, ma c’era ance l’aspetto della vinificazione. «Le stesse anfore di Sant’Imbenia probabilmente erano capaci di avere tre funzioni: quella di trasporto, confermata dagli studiosi, ma anche di fermentazione e affinamento», spiega Arcadu, che ha quindi creato una rete europea.
«L’anno scorso ho deciso di dare forma a una sperimentazione concreta e ho coinvolto produttori con visioni differenti». Ha lanciato la proposta alla Cantina Gostolai di Oliena. Poi alla cantina lussemburghese Domaine L&R Kox. Dieci anni prima, Corinne Kox aveva introdotto un processo con l’uso di antiche giare di terracotta georgiane, le “kvevri”, per realizzare un metodo di vinificazione riconosciuto addirittura dall’Unesco come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Dunque, si è aggiunto un terzo produttore, La Torretta bio di Grottaferrata, a Roma. Tutte e tre hanno presentato il loro vino, tre bianchi, al pubblico che ha partecipato alla conferenza di Dalheim, in platea anche istituzioni e l’ambasciatore italiano in Lussemburgo.
«Il sapore? La gradazione è uguale ai vini che siamo abituati a bere oggi, ma questi primi esemplari sperimentali sono risultati molto fruttati, ricchi, organoletticamente completi. La fermentazione in anfora permette di sfruttare al massimo l'uva», dice l’artigiano ideatore. La cantina sarda, che non aveva mai provato una procedura del genere, ha ricevuto molti complimenti e ha lavorato con uve arvisionadu. Gli altri due vini sono stati realizzati da vitigni di Trebbiano e Auxerrois.