Assalto in Toscana, i rapinatori rintracciati poche ore dopo
Piras e Palmas riposavano in un capannone in un podere in Val di Cecina
Nuoro Subito dopo l’assalto sull’Aurelia nella notte tra il 28 e il 29 marzo, gli inquirenti si erano messi a caccia delle auto usate dai rapinatori per la fuga. La localizzazione del segnale Gps di uno dei mezzi rubati in precedenza, aveva portato i militari e svolgere accertamenti in Val di Cecina, in particolare nel podere San Paolo di proprietà di Antonio Moni, di origine sarda ma da sempre residente in Toscana.
Durante il controllo nel podere il titolare era stato sorpreso a dormire all’interno della sua auto, parcheggiata nei pressi di un capannone la cui porta d’ingresso era socchiusa. All’interno riposavano altre due persone, Franco Piras e Francesco Palmas che svegliati dai militari avevano sostenuto di aver trovato ospitalità nell’azienda dell’amico in vista del trasferimento, la mattina successiva, in provincia di Perugia, per l’acquisto di un mezzo agricolo. Durante il controllo i carabinieri avevano trovato un biglietto, perso da uno dei due ospiti di Moni, dov’erano annotati dei numeri intestati a un cittadino marocchino, residente in Sardegna. Utenze, che dall’analisi dei tabulati telefonici, risultavano essere state utilizzate con apparecchi privi di connessione, di marca Nokia, solo nelle giornate tra il 26 al 29 marzo. Quegli stessi numeri erano state usati per contattarne altri due, sempre su apparecchi simili, e nello stesso periodo.
Apparecchi telefonici che, stando agli inquirenti, avrebbero agganciato celle compatibili con alcuni momenti decisivi della rapina. Durante il controllo di quella notte nel podere San Paolo, oltre all’auto di Moni, non erano state notate altre auto. Neppure il furgone che era stato usato da Francesco Palmas e Franco Piras per arrivare dalla Sardegna a Livorno il 26 marzo, e usato poi per ripartire tre giorni dopo, il 29 da Genova alla volta di Porto Torres. Veicolo che era stato ripreso dall’impianto di videosorveglianza del porto durante l’imbarco.
A seguito di una perquisizione nel capannone di Antonio Moni, dopo che gli investigatori avevano intercettato una conversazione tra lui e la sorella, nel corso della quale le chiedeva se poteva svolgere delle pulizie, era stato trovato un cumulo di cenere ancora fumante dove i militari non era riusciti a identificare tutti gli oggetti bruciati , salvo i resti di un telefonino risultato essere un Nokia, senza collegamento internet, ossia dello stesso modello e stessa marca nei quali erano stati inseriti i numeri segnati nel biglietto trovato nel capannone durante il controllo a Piras e Palmas. Secondo gli inquirenti quell’apparecchio era stato utilizzato per avere i contatti tra gli indagati nelle ore precedenti e in quelle immediatamente successive alla rapina. (k.s.)