I cinque quesiti spiegati bene, dai jobs act alla cittadinanza
Domenica e lunedì si vota in tutta Italia, ma sulle urne pesa l’incubo astensione
Scheda verde
Con il sì addio al jobs act e garanzia di reintegro per i licenziamenti illegittimi
Il primo quesito, contraddistinto dalla scheda di color verde propone l’abrogazione di uno dei decreti del jobs act che riguarda i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti. In pratica, per chi è stato assunto in aziende con oltre 15 dipendenti dopo l'entrata in vigore del decreto (marzo 2015), fino ad oggi è previsto, in caso di licenziamento illegittimo, solo un indennizzo economico.
Se vincesse il sì, si ritornerebbe a quanto prevedeva l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Per i promotori del referendum il quesito garantirebbe una maggiore tutela dei lavoratori. I sostenitori del no e dell'astensione vedono nell'abrogazione della norma il rischio di disincentivare le assunzioni.
Scheda arancione
In discussione il tetto massimo nei risarcimenti ai dipendenti delle piccole e medie imprese
Il secondo quesito riguarda i dipendenti delle aziende con meno di 15 dipendenti. In caso di licenziamento con le normative attuali i lavoratori possono ricevere al massimo 6 mensilità di risarcimento, con alcune eccezioni per aziende più grandi e lavoratori con maggiore anzianità. I promotori del referendum sostengono che questo limite impedisce ai giudici di valutare adeguatamente ogni singolo caso e di stabilire compensi giusti in base alla gravità della situazione. Se dovesse vincere il sì, verrebbe eliminato il tetto massimo di risarcimento. Per i sostenitori del no e dell'astensione, se il referendum passasse le piccole imprese potrebbero trovarsi di fronte a risarcimenti troppo onerosi e aumenterebbero i contenziosi.
Scheda grigia
Precariato e contratti a tempo, si sceglie se inserire la causale nelle assunzioni entro i 12 mesi
Il terzo quesito riguarda i contratti di lavoro a tempo determinato. Attualmente le aziende possono assumere con contratti temporanei senza dover specificare il motivo (senza “causale”) per i primi 12 mesi. In caso di vittoria del sì, ritornerebbe l'obbligo di specificare una causale anche per i contratti sotto i 12 mesi. Le aziende dovrebbero sempre giustificare il perché del ricorso a contratti temporanei. L'obiettivo dei promotori è ridurre l'uso improprio dei contratti precari e spingere verso assunzioni stabili. Per i sostenitori del no e dell'astensione, in caso di abrogazione della norma attuale, le aziende avrebbero difficoltà nel far fronte a esigenze temporanee e tra le conseguenze ci sarebbe anche un calo dell'occupazione.
Scheda rossa
Appalti e sicurezza responsabilità dei committenti nei casi di infortuni
Il quarto quesito riguarda il tema della sicurezza sul lavoro negli appalti. Con la normativa in vigore, in caso di infortunio il committente non è responsabile se l'incidente deriva da rischi specifici dell'attività dell'appaltatore. Con il sì, chi affida il lavoro diventerebbe corresponsabile degli infortuni e la responsabilità sarebbe estesa anche ai rischi specifici dell'appaltatore. Questo porterebbe a una maggiore tutela economica per i lavoratori infortunati. Il cambiamento riguarderebbe soprattutto settori come l'edilizia. Per i sostenitori del no e dell'astensione, l'abrogazione della norma attuale incrementerebbe in modo sproporzionato i rischi per i committenti in caso di infortuni avvenuti senza che potessero su essi avere un controllo diretto.
Scheda gialla
Residenza da 5 o 10 anni per gli stranieri che vogliono diventare italiani
Con il quinto quesito si vuole ridurre il tempo necessario per ottenere la cittadinanza italiana. Attualmente gli stranieri devono risiedere legalmente in Italia per almeno 10 anni prima di poter fare richiesta. Il sì porterebbe a una riduzione da 10 a 5 anni del periodo di residenza richiesto, ma anche alla cittadinanza automatica per i figli minorenni dei nuovi cittadini. Secondo i promotori, cinque anni sono sufficienti per dimostrare l'integrazione nella società italiana e la riforma riconoscerebbe meglio il contributo degli stranieri all'Italia. Per i sostenitori del no e dell'astensione, dieci anni rappresentano un tempo adeguato per un Paese che rilascia già un numero molto alto di nuove cittadinanze italiane rispetto alle altre nazioni europee.