Gad Lerner: «Netanyahu ha spaccato il mondo ebraico: Israele rischia l’autodistruzione»
Il giornalista sabato 28 giugno presenta il suo libro ad Alghero
La sua voce non è di certo allineata a quella di chi guida Israele. Anzi, il suo pensiero è opposto a quello di Netanyahu. Ed è proprio la politica bellicista di Tel Aviv che getta nello sconforto Gad Lerner, che vede a rischio la stessa sopravvivenza dello Stato di Israele. Il giornalista, nato in Libano da famiglia ebraica, ne parla nel libro “Gaza. Amore e odio per Israele”, edito da Feltrinelli, che presenta sabato alle 20.30 ad Alghero durante il festival “Dall’altra parte del mare”.
Odio e amore per Israele. Nel mondo oggi il primo sembra essere molto più diffuso.
«È passato un anno dall’uscita del libro e non pensavo che la guerra si sarebbe prolungata così tanto. Sono stato superato dai fatti, dacché Israele ha sviluppato un’operazione militare in Libano, Siria, Yemen e adesso l’attacco all’Iran. E contemporaneamente alla carneficina di Gaza persegue un disegno, anch’esso violento, di annessione in Cisgiordania, quasi a dimostrare che, poiché non crede nella possibilità di una pace con i vicini, la classe dirigente israeliana ritiene che solo la forza possa garantire un futuro a Israele e quindi che Israele abbia un destino di guerra permanente. Di fronte a questo ragionamento, a lungo teorizzato dalla destra israeliana e oggi messo in pratica, purtroppo c’è come effetto secondario un’inevitabile esplosione di ostilità nelle opinioni pubbliche contro Israele che assume le forme più varie...».
Sta riemergendo un sentimento antisemita?
«Si sta arrivando a riesumare gli antichi pregiudizi, gli stigmi di un antisemitismo antico perché si fa di tutta un’erba un fascio: ebreo assassino, deicida».
Ebreo ma contro Netanyahu. Si sente una mosca bianca?
«Siamo molte mosche bianche. Anche in Italia siamo diverse centinaia. In 200 abbiamo comprato una pagina per dire no alla pulizia etnica: ci hanno dato dei traditori. Il futuro del mondo ebraico mi preoccupa, come mi preoccupa il futuro dello Stato di Israele che proseguendo su questa strada va verso l’autodistruzione. Quasi due anni dopo il 7 ottobre Israele è meno sicuro del proprio futuro. Mi conforta sapere che gran parte della mia famiglia che vive in Israele la pensi come me. Stiamo assistendo a un aumento delle spaccature all’interno del mondo ebraico. Il governo ha invitato a una conferenza sull’antisemitismo i leader dell’estrema destra europea. Per protesta le principali organizzazioni ebraiche mondiali hanno deciso di non partecipare. Insomma, non sono una mosca bianca».
Lei non vuole parlare di genocidio a Gaza. Cos’è quello che sta compiendo Netanyahu?
«Considero poco rilevante questo dibattito. Io guardo con grande rispetto all’indagine aperta dalla Corte penale, conosco bene i termini sul delitto di omicidio nel diritto internazionale, comprese le volontà genocidali, e non comprendono soltanto una valutazione in termini quantitativi. La questione non è mettere a confronto i 6 milioni di ebrei uccisi con i 55mila morti a Gaza. Io faccio un altro tipo di ragionamento: noi che vogliamo lavorare per il reciproco superamento di traumi e sofferenze di questi due popoli che hanno vissuto nel ’900 il momento più tragico della loro storia, gli uni la Shoah, gli altri la Nakba, perché dobbiamo andare da Liliana Segre ed Edith Bruck, due donne scampate alla morte per caso, e chiedere conto a loro di quanto succede a Gaza? È spargere sale sulle ferite. Lo dice uno che ha scritto un libro in cui si parla di pulizia etnica, di crimini contro l’umanità da parte di forze armate e vertici governativi israeliani. La guerra ti porta a utilizzare un linguaggio duro e spietato. Ma noi che abbiamo il lusso di guardarla dal bordo dobbiamo usare meglio le parole».
Sarebbe cambiato qualcosa con un altro presidente Usa?
«Finora l’immagine più calzante per Trump era quella del gorilla che si batte il petto per incutere timore nell’interlocutore. Oggi il gorilla diventa un “sor tentenna” che di fronte a una nazione più decisa nell’uso della forza non riesce a decidere».
Ma Stati Uniti e Unione europea cosa potrebbero fare?
«Hanno entrambi gli strumenti per esercitare una pressione efficace su Netanyahu, che invece sta scommettendo sul fatto che, per quanto i suoi alleati recalcitranti lo disprezzino, lo detestino, trovino immorale come si comporta a Gaza e in Iran, si sentono comunque obbligati a stare dalla sua parte».