La Nuova Sardegna

L'intervista

Cristian Cocco, storico inviato di Striscia: «Lontano dalla tv ho sofferto, ma Ricci non mi ha abbandonato»

di Paolo Ardovino
Cristian Cocco, storico inviato di Striscia: «Lontano dalla tv ho sofferto, ma Ricci non mi ha abbandonato»

Assolto dall'accusa di estorsione ha vissuto un calvario giudiziario lungo sei anni: «Non riesco a parlare di quel periodo, so solo che mi ha fatto maturare»

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La frase la sanno tutti a memoria. Ogni sera, all’ora di cena, lui compariva davanti alla telecamera in vestito sardo ed esclamava: «Ajò! Da Cristian Cocco per Striscia la Notizia».

«Un po’ piaceva e un po’ me lo contestavano, ma io quell’ajò lo intendevo come esortazione: “muoviamoci, facciamo qualcosa”. Per diciotto anni lo storico inviato oristanese del tg satirico di Canale 5 ha raccontato le denunce che arrivavano dall’isola. Oggi, dopo un’accusa per estorsione da cui è stato assolto e anni senza tv nazionale, Cocco è tornato alla corte di Antonio Ricci. «Ma ho cambiato l’abito, ho una giacca rossa stile Austin Powers, e in apertura e chiusura dei servizi adesso dico “Bona vida”».

Un’estate impegnativa tra i palchi d'Italia?

«In mezzo ci sono gli impegni con Striscia e a giugno ho registrato qualche puntata di Paperissima. Poi adesso c'è il film».

Un debutto sul grande schermo?

«Sì, si intitola “Anacronistico”, è girato tra Lombardia e Sardegna, in Ogliastra. È una commedia, ma all’americana. Si ride però si riflette. È la storia di un 50enne che rimane intrappolato nella sindrome di Peter Pan, che sono io, e il suo angelo custode, interpretato da Enzino Iacchetti. Per me è un esordio anche alla regia e alla produzione, con l’agenzia My Art, mia e del mio socio Corrado Belotti».

È un periodo molto produttivo.

«Sì, e a novembre inizieremo a girare “Un parroco fuori di chiesa”, prima un film e poi degli spin off per una serie. Io sarò un prete venuto dalla Sardegna, Iacchetti, c’è anche qui, il vescovo».

Adesso riavvolgiamo il nastro dopo vent'anni di Striscia La Notizia. Com’è iniziato tutto?

«Bisogna subito dire che nasco in una famiglia di artisti, provengo dai Barrittas, gruppo storico degli anni '60, i primi a varcare i confini regionali. Suonavano mio padre, batterista, e il fratello alle tastiere. Io avevo la verve artistica ma ero molto timido. Mi piaceva far divertire le persone ma a casa, mi imbarazzava pensare a un pubblico. Mio cugino però un giorno mi propose di esibirmi vicino Oristano e, con tanta paura, mi sono divertito. Poi un produttore che ha lanciato molti artisti, Alessandro Fois, mi ha notato e mi ha portato in una compagnia. Da ragazzino la televisione mi affascinava e la mia frase ricorrente era proprio “Io a Striscia ci vado, vedrete”. E infatti. Dopo un provino mi presero come inviato. Sono stato il quinto, sono tra quelli storici. Aspetta, manco a farlo a posta mi sta chiamando Antonio Ricci. Ti richiamo a breve...».

Dicevamo, mi parla del mondo di Striscia La Notizia? Com'è farne parte?

«Non è giornalismo puro, è chiaro, Ricci ha sempre voluto delle maschere. Ho passato tanto tempo a far capire alle persone che noi inviati non prendevamo direttamente le segnalazioni, se ne occupavano gli autori. Per la Sardegna però ero io il punto di riferimento. E devo dirlo, le soddisfazioni le ho avute in onda ma anche fuori».

In che senso?

«Striscia è dalla parte dei deboli, questa la sua filosofia, ma appunto quando alcune segnalazioni non venivano considerate io mi muovevo in autonomia. Cercavo di rendermi utile con il nome che mi ero creato, e risolvere alcune situazioni».

Invece mi dice i servizi, in vent'anni di tv, a cui è più legato?

«Tra quelli di colore, quelli con i “Tenorenis” al festival di Sanremo. Nel 2004, la prima volta, fu un’esperienza bellissima fare una settimana di controprogrammazione e con la gente che aspettava i miei servizi. Sul fronte delle inchieste, mi ricordo quando andai in un paese nel Sulcis dove erano state assegnate delle case popolari però mai finite: case con buchi nel tetto, famiglie costrette a mettere i secchi in camera da letto quando pioveva. Riuscimmo a strappare un accordo in dieci giorni con l’ente regionale: trasferirono quelle persone in un’abitazione migliore prima della nuova assegnazione. Mi misi a piangere con loro».

Ha raccontato contraddizioni, denunce e problemi dell'isola.

«Ma a differenza di altre regioni, e lo dico a voce alta, siamo un’isola felice. Adesso mi trovo a girare per la Lombardia e pensavo di trovare dei modelli... non è così. Per esempio la sanità, qui è sanità per i ricchi. La Sardegna, anche se capisco che è difficile farlo capire a molti sardi, è un’eccellenza. Non siamo così indietro. Io sono andato a vivere altrove ma perché non potevo continuare con serate e spettacoli, i centri di produzione sono Roma e Milano».

Nel 2018 ha lasciato Striscia e in questi anni ha affrontato un processo per estorsione, da cui poi è stato assolto. Mi racconta questi anni lontano dalla televisione?

«Sei anni senza tv di cui non saprei come parlartene. Non è stata una cosa bella, però dalle cose negative prendo il rovescio della medaglia: ho sofferto ma mi ha fatto maturare. E con Antonio Ricci siamo rimasti sempre in contatto, la gente può pensarla diversamente ma è così. Infatti mi ha richiamato».

A proposito, mi spiega cosa succede a Striscia? Prima lo slittamento della programmazione, poi le voci sulla possibile chiusura.

«C'è stata una rivoluzione, così come l'ha chiamata Pier Silvio Berlusconi, di cui però noi inviati non sappiamo molto. Anche noi ci siamo sentiti in bilico a un certo punto. Per adesso si dice che partiremo a novembre. Stamattina ho sentito Luca Abete e condividiamo la stessa situazione».

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