La Nuova Sardegna

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Ricerca e laboratorio le nuove frontiere dell’acquacoltura

di Enrico Carta
Ricerca e laboratorio le nuove frontiere dell’acquacoltura

I ricercatori del Centro Marino Internazionale di Torregrande puntano al miglioramento della produzione

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Quando arrivano sulle nostre tavole sono sempre saporite. Il mare e le acque lagunari, al di là della pesca classica, da decenni regalano ai palati più incontentabili tante prelibatezze anche attraverso quello che comunemente chiamiamo allevamento. Cozze, ostriche, frutti di mare in genere e tanti tantissimi pesci. Se agli albori l’acquacoltura era un pianeta inesplorato e inizialmente nato con un pizzico di improvvisazione ed esperienza sul campo, oggi è qualcosa di molto codificato. In Sardegna si è affermato come punto di riferimento è la Fondazione Imc-Centro marino internazionale di Torregrande. Gli studi sull’acquacoltura, il cui responsabile è il direttore di ricerca Stefano Carboni, si concentrano sullo sviluppo di nuove conoscenze sulla biologia di specie ad alto valore commerciale e che ovviamente si prestino alla conservazione.

«A tavola arriva il prodotto finale, ma dietro, oltre al lavoro di chi gestisce gli impianti, c’è anche l’ormai indispensabile professionalità dei ricercatori» spiega il presidente del Centro, il biologo Augusto Navone. Tra laboratorio e lavoro sul campo, sia esso in mare che nelle acque interne lagunari, l’obiettivo che si pone chi si occupa di acquacoltura è quello di sviluppare e implementare i metodi di produzione tenendo sempre ben presente che tra le missioni del Centro marino c’è quella della sostenibilità. Gli studiosi contribuiscono così a innovare i processi produttivi e, ove necessario, al ripristino di habitat chiave per gli ecosistemi costieri del Mediterraneo. La ricerca attraversa varie fasi e si svolge mediante la definizione in laboratorio, in impianto e in ambiente naturale, delle condizioni più adatte per la riproduzione, la crescita e lo sviluppo di tutti gli stadi del ciclo vitale delle specie oggetto di studio, in concerto con l’impegno e la collaborazione dei produttori locali che nei ricercatori trovano un indispensabile sostegno. Le attività condotte nell’ambito dell’acquacoltura hanno permesso all’Imc di definire e implementare protocolli di allevamento per specie di vertebrati e invertebrati marini, di procedere al recupero della biodiversità marina e al ripopolamento attivo di specie a rischio e soggette a forte pressione di pesca, di avviare la produzione di nuove specie per questo particolare tipo di industria sempre più in espansione. Non ci si ferma però solo a questi aspetti, ma il lavoro di ricerca riguarda anche la valutazione di aspetti qualitativi e quantitativi della produzione come la crescita, lo sviluppo e lo stato nutrizionale. Si punta quindi al miglioramento dei protocolli operativi di allevamento e alla produzione sperimentale di specie micro e macroalgali. In questo modo, la produzione acquicola di queste specie viene massimizzata senza dover più insistere sul prelievo di risorse selvatiche o essere legati alla sua disponibilità stagionale, salvaguardando anche l’indotto che ruota attorno al prodotto stesso. Insomma, la parola d’ordine è innovazione con un occhio di riguardo allo sviluppo delle economie produttive sarde, tenendo viva l’imprescindibile necessità di allargare il campo esplicitando la vocazione all’internazionalizzazione delle attività di ricerca. Non è un caso che siano attivi progetti in partenariato con istituzioni internazionali di riconosciuto spessore.

«Partendo da questi presupposti – conclude Augusto Navone – la Fondazione Imc è fortemente motivata ad attrarre ricercatori di valore che abbiano sviluppato significative esperienze nei principali centri di ricerca internazionali, invertendo così il flusso che determina il fenomeno della fuga dei cervelli e portando conoscenze innovative nel territorio sardo».

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