Legge sul fine vita, Alessandra Pisu: «Diritto fondamentale che va regolamentato»
La docente di diritto privato: «Mi aspetto una impugnazione del Governo, ma questa non sarebbe indicativa per sé della debolezza della legge, piuttosto un aspetto fisiologico della dialettica tra poteri dello Stato»
Cagliari «Non è una soluzione ottimale, ma è quello che oggi si può fare vista la pervicace e ingiustificata latitanza del Parlamento che si rifiuta di legiferare. L’aiuto medico a morire va regolamentato, preferibilmente a livello nazionale». Alessandra Pisu insegna diritto privato all’Università di Cagliari e da anni, anche in prima persona segue questi temi.
L’intervento delle Camere è dovuto?
«Sì. La Consulta lo sollecita da anni. Parliamo di diritti fondamentali. L’intervento del legislatore nazionale assicura omogeneità di regole. Una legislazione a livello regionale rischia di creare sperequazioni tra cittadini italiani. La Corte Costituzionale nel 2019, sentenza 242, ha circoscritto l’area di non punibilità dell’aiuto al suicidio, indicando quattro elementi che lo rendono non punibile: patologie irreversibili, sofferenze intollerabili, uso di trattamenti per il sostegno vitale e capacità della persona interessata di prendere decisioni libere e consapevoli».
A che serve una legge regionale?
«A ovviare ai problemi riscontrati in numerosissimi casi dopo la sentenza della Corte, che ha regolato situazioni oggi affrontati nel silenzio, nella paura, nel dolore e soprattutto nell’omertà. Non dimentichiamolo, questa è la realtà».
Cosa la convince della proposta di legge regionale?
«Fornisce regole e tempi per gli interventi, certi e rapidi. Ogni giorno per questi pazienti vale mesi. In Spagna, dove da anni c’è una legge nazionale che regola anche l’eutanasia le risposte sono assicurate in tempi molto rigorosi».
Vede punti deboli?
«Mi aspetto una impugnazione del Governo, ma questa non sarebbe indicativa per sé della debolezza della legge, piuttosto un aspetto fisiologico della dialettica tra poteri dello Stato. Ci sta che la maggioranza al governo nazionale dica no».
Come commenta l’articolato?
«Mi ha colpito l’articolo 4bis, che prevede che l’assistenza medica per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco sia prestata dal personale sanitario su base volontaria. Questa potrebbe diventare un ostacolo insormontabile in assenza di medici disponibili. Solo quando ci sarà una legge nazionale si potrà prevedere l’obiezione di coscienza. In ogni caso il servizio sanitario pubblico deve essere coinvolto in tutte le fasi, e deve assicurare la prestazione altrimenti l’alternativa è che chi se lo potrà permettere andrà in Svizzera».
Non si rischia che Regione e Stato si impadroniscano del diritto di morire?
«No, perché sono chiamati a rispondere a una richiesta della persona. Il nostro è uno stato laico che protegge i diritti delle persone e rispetta l’autodeterminazione nelle scelte di fine vita. È bene e opportuno che ci siano visioni differenti, ma è giusto che tutte vadano rispettate. Ogni scelta ha dignità uguale all’altra». (g.cen)