Albania – Sardegna, la rotta del narcotraffico: fiumi di denaro e cocaina nei doppi fondi dei tir – LE INTERCETTAZIONI
Due degli indagati: «Sera o domani va la mia amica nell’isola… ce la fai a portare il pacco fino a lì?»
Sassari Dietro i camion che attraversavano il Tirreno, caricando e scaricando merci nei porti di Olbia, Cagliari e Porto Torres, si muoveva un traffico regolare ma invisibile: cocaina ed eroina che collegavano la Sardegna all’Albania passando per la Toscana. Due organizzazioni modulari, oltre settanta persone tra autotrasportatori, corrieri, referenti balcanici e spacciatori locali. Comunicavano con telefoni criptati e un linguaggio in codice costruito per confondere. L’operazione “Termine” di tre giorni fa che ha coinvolto l’isola e altre regioni italiane, ha portato a galla un sistema su cui gli investigatori lavoravano da tre anni.
Le indagini, condotte dalla Compagnia dei carabinieri di Carbonia, sotto la direzione della Direzione distrettuale antimafia di Cagliari, con i carabinieri dal Comando provinciale di Cagliari, hanno portato 50 indagati in carcere, 9 ai domiciliari, 2 con l’obbligo di dimora e uno con divieto di dimora. La logistica del crimine Il sistema di approvvigionamento era rodato. La droga arrivava in Italia attraverso i canali balcanici, gestiti da connazionali albanesi residenti tra Pisa, Cascina e Santa Croce sull’Arno.
Da lì le partite di cocaina ed eroina partivano verso la Sardegna, dove i gruppi locali curavano stoccaggio e distribuzione. Secondo l’accusa i capi dell’organizzazione che si occupava della logistica erano Efisio Spano e Rossano Agnese, due autotrasportatori che avevano trasformato il loro lavoro in una copertura perfetta. I camion trasportavano merce lecita ma, nei doppi fondi, anche stupefacenti o grossi quantitativi di contanti. Ogni viaggio verso il continente serviva a “rimettere a posto i conti”. I corrieri utilizzavano gli stessi mezzi delle consegne commerciali, occultando droga o denaro in intercapedini create appositamente nei rimorchi.
La via toscana Le indagini hanno ricostruito un legame stabile con Pisa e Livorno, dove operava Soni Muca, cittadino albanese considerato l’intermediario principale tra i fornitori d’oltre Adriatico e i referenti sardi. Muca agiva in contatto con Leonard Murtati, conosciuto come Sinani, figura di rilievo nel traffico di stupefacenti fra la Penisola e la zona dei Balcani. Accanto a loro, anche i due fratelli di origine albanese, Ervin ed Endrit Stafa, che curavano il trasporto, la vendita e le comunicazioni cifrate. In un’intercettazione, Endrit dice a Leonard: «Ho sbagliato il nome, invece di scrivere Ervin ho scritto Ervis… non ti preoccupare, che lo aggiusto domani».
Una frase all’apparenza banale, che per gli investigatori si riferiva a un bonifico destinato ai fornitori in Albania dopo la riscossione dei proventi dalle organizzazioni sarde. In un’altra conversazione, i fratelli parlano di un “pacco” da far arrivare sull’isola: «Sera o domani va la mia amica in Sardegna… ce la fai a portarlo fino a lì?». Il pacco, in realtà, era un particolare telefono criptato destinato ai referenti sardi per coordinare ordini e pagamenti.
Le rotte e il denaro Le linee marittime commerciali erano la spina dorsale dell’organizzazione. Niente voli o trasferimenti clandestini, ma traghetti e container di merce regolare. Nei doppi fondi dei tir viaggiavano in un senso la droga, nell’altro il denaro. Il flusso era costante e scandito: ogni partita di cocaina o eroina doveva essere saldata con trasferimenti in contanti diretti ai fornitori albanesi. In Toscana il denaro veniva raccolto e smistato da intermediari che lo rimandavano oltre Adriatico, in parte tramite corrieri fisici, in parte con money transfer. In Sardegna, le piazze di Barisardo, Iglesias, Olbia e Villaperuccio erano invece i punti di arrivo e ridistribuzione. I capi locali ricevevano i carichi e li affidavano a pusher organizzati in cerchi concentrici. Una struttura quasi piramidale, basata su fiducia e timore. Chi ritardava un pagamento rischiava pesanti ritorsioni: in un caso un affiliato fu sequestrato per ore. Il mandante, secondo gli atti, era Arjan Mrishj, boss albanese residente nel nord Italia.
Un’azienda criminale Dalle indagini emerge una struttura imprenditoriale più che una banda improvvisata. I referenti toscani mantenevano i rapporti con l’Albania, i sardi gestivano la rete locale e il riciclaggio dei profitti. Le conversazioni intercettate rivelano un linguaggio di confidenza: “fratello”, “compare”, “socio”. Segni di un’alleanza stabile tra italiani e albanesi, un sodalizio che ha collegato l’isola ai Balcani con un flusso continuo di droga e denaro. Un sistema preciso, silenzioso, che usava il Tirreno come autostrada e la Toscana come snodo logistico. Camion, traghetti, telefoni criptati: la normalità come copertura perfetta.
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