Truffa all’Inps, il voto del Senato ferma il processo alla ministra Daniela Santanché
L’esponente del governo Meloni è accusata di indebita percezione di oltre 126mila euro per 20.117 ore di cassa integrazione Covid
Stop al processo per truffa aggravata ai danni dell’Inps in cui è imputata la ministra del Turismo e senatrice di Fratelli d’Italia Daniela Santanchè. L’udienza preliminare prevista oggi a Milano è stata sospesa dalla giudice Tiziana Gueli, che ha accolto la richiesta dei legali della parlamentare, Nicolò Pelanda e Salvatore Pino, in attesa della decisione della Corte Costituzionale.
Il procedimento, che riguarda l’indebita percezione di oltre 126mila euro per 20.117 ore di cassa integrazione Covid tra il 2020 e il 2022 erogate a 13 dipendenti delle società Visibilia Editore spa e Visibilia Concessionaria srl, si ferma così fino al pronunciamento della Consulta, atteso non prima di alcuni mesi.
La sospensione è l’effetto diretto del voto espresso tre settimane fa dal Senato, che ha sollevato un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Procura di Milano, ritenendo che la magistratura abbia violato le prerogative parlamentari nell’acquisizione di alcune registrazioni tra presenti. Al centro della disputa giuridica ci sono cinque conversazioni registrate dal vivo da Eugenio Moschini, ex direttore di Pc Professionale, che tra il 2019 e il 2023 aveva raccolto prove contro Santanchè e le aveva consegnate agli inquirenti.
Le registrazioni non sono intercettazioni, né captazioni ambientali disposte dai magistrati, ma documenti audio forniti da un soggetto presente ai colloqui. La Procura, con i pm Maria Gravina e Luigi Luzi, ha sostenuto in aula che non esiste alcun obbligo normativo di sospendere il procedimento in attesa della Consulta. Tuttavia, la giudice ha deciso diversamente, congelando un processo che oggi avrebbe dovuto vedere proprio l’interrogatorio della ministra, tappa cruciale prima delle conclusioni di accusa e difesa.
Il centrodestra, in linea con la difesa, ritiene che tali registrazioni – trattandosi di conversazioni con un parlamentare – dovrebbero essere valutate alla stregua di intercettazioni indirette o di corrispondenza (sulla scia della sentenza della Consulta sul caso Open-Renzi), e dunque soggette ad autorizzazione parlamentare. Il procedimento resta quindi sospeso fino al verdetto della Corte Costituzionale.
