Enrico Letta: «Europa unita su energia e digitale: vorrei la Sardegna protagonista»
L’ex presidente del Consiglio a Sassari presenterà il suo rapporto sul futuro dell’Unione
L’Europa è sempre stata l’architrave della sua azione politica. Da ministro innanzitutto, ai tempi il più giovane in Italia, debuttò proprio alle Politiche comunitarie. E poi da presidente del Consiglio, e anche da segretario del Pd, ha sempre posto l’Europa al centro. E ora che ha deciso di lasciare la politica attiva l’Europa è diventata la sua principale attività. Dal 2023, infatti, Enrico Letta ha avuto l’incarico di scrivere un rapporto di alto livello sul futuro del mercato interno dell’Unione. E oggi, 28 novembre, l’ex premier lo illustrerà a Sassari, ospite della Scuola di politiche da lui fondata: appuntamento alle 18 nella sala Angioy del Palazzo della Città metropolitana. Con Letta ci saranno la presidente della Scuola Carla Bassu e il sindaco Giuseppe Mascia.
Letta, come sta l’Europa?
«L’Europa è in un momento di grandissima difficoltà. La pressione che arriva da Trump da una parte e da Putin dall’altra avrebbe bisogno di una forte reazione, ma stento a vederla. Questa potrebbe essere la grande occasione per reagire più uniti, ma vedo grande timidezza. Stanno per finire i fondi europei del Pnrr, fra un anno, ma in campo non noto grandi idee. C’è troppa frammentazione».
Finora cosa non ha funzionato?
«È molto semplice: tra i Paesi membri c’è stata un’integrazione a metà, non hanno voluto fare il passo successivo. E cioè integrare quei settori come il mercato finanziario, le borse, l’energia, il digitale, la connettività, le telecomunicazioni. Questi settori sono rimasti tutti frammentati. Il problema non è l’Europa, ma sono gli Stati membri che non vogliono capire che nel mondo di Stati Uniti, Russia e Cina se ogni Stato membro gioca da solo è un nano, non è all’altezza...».
Può fare un esempio?
«Parliamo di energia. Su questo tema non c’è unione, i 27 Stati vanno ognuno per conto proprio. E alla fine l’Italia, come anche la Grecia, paga un costo dell’energia più alto di tutti. La risposta non può essere che ognuno fa per sé, serve una interconnessione dell’energia. Gli Stati sono convinti che stando da soli si sia più forti, ma è il contrario».
Nell’Unione ci sono Stati più europeisti di altri?
«Sui temi di cui mi sono occupato ho trovato interesse da parte di tutti. Il punto è che manca la spinta a capire che questa integrazione dei mercati finanziari può essere la svolta rispetto all’innovazione e al finanziamento dell’innovazione. Invece, ogni Paese ha il suo programma e alla fine andiamo a prendere tutto quello che arriva dagli Usa. I Paesi dell’Ue avrebbero bisogno di avere una spinta a mettersi insieme, altrimenti non resta loro che essere colonia americana o cinese fra qualche anno».
Cosa propone nel suo rapporto?
«Faccio qualche esempio concreto. Nell’Unione non esiste un diploma universitario europeo, ogni Stato ha il suo diploma nazionale. Io ho proposto di creare il diploma europeo, come anche lo status di ricercatore europeo. Molti giovani, e anche i loro genitori, sanno quanto oggi sia faticosissimo il riconoscimento del loro diploma preso fuori dall’Europa. È la più clamorosa dimostrazione di qual è il nostro problema: abbiamo la stessa moneta, ma la frammentazione negli altri settori non ci permette di essere competitivi. Lo stesso discorso si può fare per i satelliti. Ogni Stato vuole mettere la propria bandierina, ma non abbiamo la forza di mandare satelliti nazionali e allo stesso tempo non cooperiamo a livello europeo. E così nel 2025 contiamo 170 satelliti lanciati dagli americani, 60 dai cinesi e appena 5 da noi europei. Su questo tema, però, una buona notizia è l’accordo tra Leonardo, Thales e Airbus».
Nel suo rapporto esiste un termine?
«La novità è arrivata dall’ultimo Consiglio europeo del 23 ottobre, che ha posto una data: il 2028. Entro tre anni andranno completati il mercato unico della energia, delle telecomunicazioni e dei mercati finanziari. Anche l’Italia ha approvato questa scelta. Sono molto contento che si vada in questa direzione. Ma occorre che queste cose si tramutino in fatti concreti, visibili come era stato il Pnrr».
Serve un nuovo Piano?
«Credo sarà necessario che si costruisca un nuovo Pnrr per accompagnare la transizione. Io sono favorevolissimo alla transizione verde, ma deve essere accompagnata con nuovi fondi europei per lenire le ferite industriali e sociali che la transizione comporta e aiutare i territori periferici come la Sardegna. La mia generazione è cresciuta con l’idea dell’Europa del 1992, via le frontiere, i passaporti. Siamo davanti a un nuovo 1992».
È ottimista?
«Sono molto determinato. Sto facendo questi incontri per parlare con gli imprenditori, il mondo accademico, perché il recupero della competitività si ottiene non prendendosela con l’Europa, ma capendo che il vero problema è la non Europa, la frammentazione».
Nella sua Europa che ruolo possono giocare le regioni periferiche come la Sardegna?
«Nel mio rapporto ho lanciato uno slogan. Il Mercato unico europeo era noto come il mercato della libertà di movimento. Il rapporto che ho presentato io non deve garantire solo la libertà di muoversi, ma anche quella di restare. È necessaria una riforma delle politiche di coesione che si occupino anche a livello europeo di aiutare le regioni periferiche a mantenere i servizi essenziali, oggi molto a rischio. Ma anche a trattenere i giovani, ad affrontare il problema della casa».
Qual è la posizione dell’Italia?
«L’Italia ha solo interesse ad avere una Europa più integrata. Sono passati 25 anni dall’ingresso nell’Euro. In tanti hanno battagliato contro, eppure oggi, secondo i sondaggi, l’80 per cento dei cittadini non vorrebbe tornare alla vecchia moneta, perché pensa che l’Euro sia uno scudo. E in effetti ci protegge dai dazi di Trump o dal dumping cinese. La buona notizia del rating migliorato può fare sì che l’Italia possa guidare un’integrazione europea che dia più competitività e semplifichi le regole».
Sarà un nuovo inizio anche per la Sardegna?
«Da mezzo sardo, anzi mezzo sassarese, mi piacerebbe che la Sardegna fosse protagonista di questa Italia più europea e in grado di combattere la terribile pressione americana, cinese e indiana».
