La Nuova Sardegna

L’intervista

Giovani e violenza, Maria Rita Parsi: «Manca il rispetto e l’educazione»

Giovani e violenza, Maria Rita Parsi: «Manca il rispetto e l’educazione»

La psicoterapeuta: «Troppe immagini brutali sul web, assuefatti a guerre e delitti»

3 MINUTI DI LETTURA





Sassari «Non sono sorpresa dai risultati dell’indagine, perché sono dinamiche che osserviamo da molto tempo: la violenza, la sua normalizzazione, il modo in cui entra nella quotidianità dei ragazzi non nascono oggi, ma sono il frutto di un processo lungo, che coinvolge, la comunicazione, il mondo virtuale e l’assenza di una vera educazione al rispetto e alla parità». Maria Rita Parsi, psicoterapeuta, psicopedagogista, già componente dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza e già unico membro italiano del comitato Onu sui diritti dei minori, commenta così i dati dell’indagine Eurispes sui giovani studenti sardi.

Come giudica i risultati dell’indagine Eurispes?

«Non mi sorprendono affatto. Da oltre 20 anni molti studiosi, me compresa, evidenziano questi segnali. Nei miei libri, penso ad esempio a Maladolescenza, mettevo già in guardia sul fatto che il mondo virtuale stava entrando in modo pervasivo nella vita dei ragazzi, modificando l’immaginario e abbassando la soglia di tolleranza verso l’aggressività».

Quanto pesa il modo in cui la violenza viene raccontata ogni giorno?

«Enormemente. La comunicazione, dai telegiornali, alle serie, fino al web, propone continuamente immagini di delitti, sparatorie, guerre. Questo produce un effetto di assuefazione: la violenza diventa “di casa”, qualcosa di normale. È un messaggio potentissimo, soprattutto per chi è in fase di costruzione della personalità».

Lei collega questi fenomeni anche al post-Covid.

«Durante la pandemia ho ideato una collana di libri intitolata Covid20. Linee guida, perché ero convinta che, finita l’emergenza sanitaria, sarebbe esploso un disagio profondo. L’angoscia di morte, l’isolamento, la paura hanno lasciato un segno. Una parte di quella tensione oggi viene scaricata in modo distruttivo».

In che modo quella che chiama “angoscia di morte” sta condizionando la vita post covid?

«Fromm spiegava benissimo in Anatomia della distruttività umana l’angoscia di morte, la riteneva la madre di tutte le angosce. Da lì nascono le difese psicologiche. Se non vengono elaborate in modo costruttivo, si trasformano in aggressività, bisogno di dominio, violenza».

Un altro dato riguarda il controllo del telefono del partner, che molti giovani non considerano una mancanza di rispetto.

«Perché vengono educati così. L’amore viene scambiato per possesso, la gelosia per prova di affetto. È un messaggio che arriva dalla famiglia, dalla cultura, dai modelli narrativi. Non si educa alla libertà e alla parità, ma al controllo».

E il fatto che molti ragazzi non parlino delle violenze subite o vissute?

«C’è una grande vergogna. Il silenzio accumula rabbia e paura, che poi vengono scaricate sui più fragili. Senza strumenti culturali ed emotivi, il disagio diventa distruttivo».

Da dove si può ripartire?

«Da scuola e famiglia. Servono formazione, cultura, educazione emotiva. La psicologia non è “roba per matti”, è scienza della comunicazione e del comportamento. Senza questo investimento continueremo a leggere dati sempre più preoccupanti». (ma.se.)

Primo Piano
Notte di San Silvestro

Capodanno in Sardegna: ecco tutte le informazioni utili su parcheggi, divieti e scalette per i concertoni in piazza

di Francesco Zizi
Le nostre iniziative