La Nuova Sardegna

Sassari

«Contro Spissu accuse inattendibili»

di Elena Laudante
«Contro Spissu accuse inattendibili»

Le motivazioni del giudice che ha assolto l’ex presidente dell’Assemblea sarda dai reati di concussione e calunnia

07 dicembre 2012
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SASSARI. «Le tesi dell’accusatore non reggono dal punto di vista logico e non sono confermate da alcuna prova». Ecco perché Giacomo Spissu non fece pressioni sull’imprenditore Antonio Brindisi per convincerlo a non revocare l’incarico di consulenza alla sua società, facendo valere il ruolo di presidente del Consiglio regionale. A tre mesi dall’assoluzione dai reati di concussione e in calunnia per Spissu e la collega Giuseppina Serra (solo calunnia), il giudice dell’udienza preliminare Antonello Spanu spiega perché quel processo si sia fondato, in pratica, solo sulla versione dell’imprenditore Brindisi, titolare della società Pas, legato a Spissu da un contratto di consulenza per realizzare un business plan finalizzato ad ottenere i fondi del Contratto d’Area Sassari - Alghero - Porto Torres. Brindisi voleva aprire uno stabilimento per costruire rimorchi. In 30 pagine dettagliate il gup ha ripercorso i passaggi di una vicenda nata nel 1998 dopo una ventennale amicizia tra Spissu e Brindisi, e finita a colpi di decreti ingiuntivi e querele. Sulla versione dell’imprenditore, il giudice conclude: «La ricostruzione di Brindisi presenta carenze logiche tali da renderla chiaramente inattendibile». E questo perché «la prova dei delitti ascritti agli imputati si fonda esclusivamente sulle sue dichiarazioni e gli ulteriori elementi assumono rilevanza in termini di conferma della tesi accusatoria e non di prova diretta del fatto». Fatto che nasce dal contratto di consulenza per un corrispettivo di 175milioni di lire, che risale al ’98, quando Brindisi incarica Spissu di un business plan che poi gli consente di essere «incluso nel finanziamento». Ma i soldi non arrivarono perché mancano i fondi. Per Idea Impresa, però, il lavoro è completato e a dicembre 2005 il successore di Spissu alla guida della società di consulenza (lui era diventato presidente dell’Assemblea), Serra, invia la parcella a Brindisi, decurtata dell’anticipo versato. Lui non risponde e lei ottiene decreti ingiuntivi. Per Brindisi arrivano i guai, ma nel 2007, durante la causa civile, produce la fotocopia di un documento che può cambiare le cose. C’è scritto che avrebbe dovuto pagare la parcella solo a finanziamento pubblico ottenuto. Firmato: Giuseppina Serra. Brindisi produce il documento perché nel frattempo il finanziamento è stato cancellato, a causa di problemi che riguardavano i suoi requisiti. Serra disconosce la fotocopia (manca l’originale) e va in Procura spiegando che la firma su quel foglio è identica, praticamente coincidente, a quella da lei apposta in una delle raccomandate inviate a Brindisi. Come a dire: l’atto è falso. Dopo la denuncia il pm Gianni Caria interroga Brindisi, che gli rivela: «A luglio 2005 volevo abbandonare la società di Spissu perché era in ritardo con il lavoro. E lui mi fece capire che se l’avessi fatto - questo il racconto in sintesi - non avrei ottenuto il finanziamento». Dopo quel colloquio Brindisi sarebbe stato “costretto” a firmare la scrittura, cioè la fotocopia prodotta nella causa civile. Su questo il gup è lapidario. «Brindisi ha parlato della presunta concussione solo nel 2007, quando era indagato per falso, quasi due anni dopo il fatto. E di quell’incontro con Spissu non parlò neppure con il parente che lo aveva accompagnato». Circostanza così «singolare da rendere dubbia la ricostruzione». E poi, una serie di incongruenze logiche, come la scarsa convenienza, per lo stesso Spissu, di stipulare quell’accordo spuntato in extremis. Il giudice «non esclude la sua falsificazione», ma non l’attribuisce a nessuno.

La Corte d’appello fisserà a breve i due processi - Gesam e Idea Impresa - nei quali Spissu è stato condannato in primo grado. Ma non c’è tempo: arriveranno in aula a reati già prescritti.

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