La Nuova Sardegna

Sassari

Sei vite riacciuffate per un pelo in 10 giorni

Sei vite riacciuffate per un pelo in 10 giorni

Piccoli miracoli dei volontari del 118 che grazie al defibrillatore salvano pazienti in arresto cardiaco

10 agosto 2013
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SASSARI. Chissà cosa si prova a salvare una vita. Se ci si sente un po’ come Dio, oppure alla fine può diventare quasi un mestiere. Ci sono volontari del 118 che hanno riacciuffato più di un’anima con biglietto di sola andata. Tecnicamente si chiama arresto cardiaco: non c’è respiro, non c’è coscienza, il cuore è immobile e il polso è muto. E’ come se si fosse staccata la spina, e quella persona per le leggi di natura è bella che andata, pronta per essere infilata dentro una bara. Eppure la medicina ha altre leggi, e dal 28 luglio a ieri, sei di queste persone hanno fatto dietrofront nel viaggio senza ritorno. Succede in media 14 volte su 300 casi: dunque in questa settimana si può parlare di piccoli miracoli.

Il primo episodio, il 28 luglio, si verifica all’aeroporto di Olbia. Un addetto del deposito bagagli accusa un forte dolore al petto. Da quel momento è un conto alla rovescia alla fine del quale c’è il confine della propria vita. «Ogni minuto che passa svanisce il 10 per cento di possibilità di salvarsi – spiega il responsabile del 118 di Sassari Piero Delogu – questo significa che trascorsi 10 minuti dall’arresto cardiaco non ci sono più speranze». All’aeroporto di Olbia c’è un defibrillatore, il soccorso è immediato. Basta una scarica elettrica per riaccendere il cuore. L’uomo riacquista i sensi, e dopo essersi affacciato per un attimo nell’aldilà ripiomba in questo mondo. Il 30 luglio nella periferia di Olbia un uomo di 58 anni si sente strano. Non ha mai accusato un simile dolore, poi tutto evolve in una manciata di secondi, con il respiro che manca e una sensazione di svenimento. Spesso si scopre in questo modo di avere il limitatore inserito nel proprio destino. Ma il paziente è fortunato: con una scarica di defibrillatore riprende coscienza. Invece un sessantacinquenne di Bolotana ha avuto un trailer dell’altra vita molto più lungo. Il 4 agosto era nella sua casa, ha accusato un malore. La sua fortuna è che non erasolo e i familiari hanno avvisato il 118. Un’equipe di volontari è arrivata dopo pochi minuti e l’uomo era tecnicamente morto. Per 22 minuti i volontari sono rimasti avvinghiati a quella vita, e alla fine sono riusciti a non mollare la presa. Ciò che è accaduto in quella parentesi di tempo sospeso, è tutta fissata in una registrazione. Si sente la voce sintetica del defibrillatore che, una volta collegato, prende in consegna il destino del paziente. «Misurazione del battito cardiaco in atto». E poi: «prima scarica». Si vede il tracciato cardiaco sussultare per un istante, ma la linea resta ancora piatta. I sanitari allora lavorano al posto del cuore, e con un massaggio ritmico nel torace pompano sangue artificialmente nell’organismo. «Così facendo le chance di sopravvivenza aumentano del 30 per cento – spiega ancora Delogu». Ogni due minuti il defibrillatore comanda una scarica elettrica, proporzionata alla corporatura del soggetto. All’anziano di Bolotona ce ne vorranno sette. Solo con l’ultima l’uomo viene risucchiato indietro, la linea nel tracciato si fa di nuovo frastagliata e nell’audio si sente un lamento. Anche dopo 22 minuti di buio si possono riaprire gli occhi.

Sempre il 4 agosto a Stintino si è accasciato su una panchina un uomo di 66 anni. Dopo una scarica il cuore si è riattivato, ma l’uomo, nel reparto di rianimazione, ancora aspetta di risvegliarsi. Il 6 agosto accade invece in piazza Comando alla Maddalena. Il paziente viene salvato con una scarica, ma dovrà essere sottoposto a un intervento di cardiochirurgia con l’installazione di un by-pass. L’ultimo episodio due giorni fa a Berchidda. Anche questa volta la scossa del defibrillatore ha riacceso la lampadina. (lu.so.)

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