La Nuova Sardegna

Sassari

Violenza domestica e femminicidio, esperti a convegno

di Daria Pinna

SASSARI. La parola femminicidio suona male, però è efficace. Definire in modo appropriato la categoria criminologica del delitto perpetrato contro una donna perché è donna, è necessario. Per capire e...

28 marzo 2014
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SASSARI. La parola femminicidio suona male, però è efficace. Definire in modo appropriato la categoria criminologica del delitto perpetrato contro una donna perché è donna, è necessario. Per capire e spiegare meglio i contesti, cercare di non banalizzare il fenomeno e di non ridurlo a una invenzione mediatica. Anche perché i numeri parlano chiaro: i dati del Viminale confermano che nel 2013 le donne uccise sono state 177. E nel 2014 si sono già verificati dieci omicidi per mano di partner o ex compagni che spesso non accettano la fine di una relazione.

A questo argomento è stato dedicato un convegno intitolato “Perché ? Di genere si muore”, organizzato dai club femminili Soroptimist International Club di Sassari, i Club Inner Wheel (Sassari, Sassari Castello e Porto Torres) e la sezione sassarese della Fidapa.

Un’interessante tavola rotonda per approfondire un tema di grande importanza, reso ancora più stimolante dagli interventi della criminologa Susanna Loriga e dalle relazioni di Noemi Sanna, psichiatra; Clara Farina, docente Ipsar; di Isa Sarullo, di Mariolina Cosseddu, del giudice Carla Altieri e del sostituto procuratore Paolo Piras. «È importante dare voce anche ad altre forme di maltrattamento che si consumano, silenziosamente, tra le mura domestica» ha detto Susanna Loriga. Molte donne subiscono sempre più frequentemente, una forma subdola di violenza psicologica senza poterla chiamare per nome Perché , fuori, nessuno ha sentito il rumore degli schiaffi o visto i lividi sulla pelle. Gli esperti lo chiamano “Gaslighting” ed è un comportamento psicologico altamente manipolatorio messo in atto da una persona abusante perché la sua vittima dubiti del proprio esame di realtà, metta in discussione le proprie percezioni e giudizi convincendosi addirittura di essere pazza.

«Subire violenza significa perdere autostima – ha spiegato la psichiatra Noemi Sanna durante il suo intervento, avere profonde crisi di insicurezza, sentirsi impotenti. Significa quindi, mantenere segni fisici ed indelebili lacerazioni psicologiche che segnano il futuro della vittima».

«C’è di più – ha aggiunto Sanna –. In molti casi gli abusi e la violenza possono causare modificazioni biologiche a carico del cervello alterando così il buon funzionamento della psiche». In generale, il delitto familiare è raramente un fulmine a ciel sereno, dicono gli esperti: vede antecedenti specifici e situazioni ricorrenti che dovrebbero richiamare l’attenzione dei medici e dei servizi sociali. Da qui, l’importanza della tutela e della protezione delle vittime di violenza, sia intra familiare che esterna. «Dare ascolto e proteggere le donne abusate sin dal momento della denuncia è molto importante – ha avvertito il giudice Altieri –, ma è anche vero che gli strumenti a disposizione sono inadeguati».

Dalle ricerche appare evidente come l’attuale investimento in azioni di prevenzione (anche nel nostro territorio) e in attività di sostegno e cura verso le donne vittime di violenza, sia decisamente insufficiente a combattere un fenomeno che da solo causa danni economici, sociali ed esistenziali di enorme portata. Una rete di supporto che coinvolga le istituzioni, le forze dell’ordine e le associazioni del territorio, potrebbe rappresentare un primo passo per l’elaborazione di strategie preventive e di sostegno alle vittime di violenza. Partendo dai Pronto Soccorso.

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