La Nuova Sardegna

Sassari

Storie dimenticate del carcere quando era la “Cayenna sarda”

Storie dimenticate del carcere quando era la “Cayenna sarda”

Nel 1871 San Sebastiano era considerato un penitenziario ad alta sicurezza e ospitò per decenni i più pericolosi esponenti della criminalità organizzata

03 luglio 2014
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La Cayenna sarda. Era ora. Credo che lo dica anche la Corte dei diritti dell’uomo. Dopo 140 anni di “onorato” servizio e il solito lunghissimo iter burocratico le carceri di San Sebastiano, sono state chiuse e sostituite con il nuovo stabilimento di Truncu Reale.

Un tempo, quando erano all’angolo tra l’attuale via Asproni e via Roma, risultavano alla periferia (erano state battezzate da una chiesetta “extra muros”, che stava nel terreno donato dal Municipio), a due passi dalla piazza d’armi,erano considerate delle carceri modello. Nel senso che allora, dal 1871, erano ritenute ad alta sicurezza e quindi adatte ad ospitare la peggiore specie di delinquenti. In particolare, a partire dal 1902, i sassaresi dovettero abituarsi ad assistere al periodico sbarco in massa di mafiosi e camorristi. In particolare il 18 marzo di quell’anno arrivarono a Sassari, per la regolamentare via nave-treno, 150 detenuti: riguardati non senza una qualche (e forse giustificata) preoccupazione da parte delle autorità cittadine. I galeotti, accompagnati da un nutrito numero di carabinieri, percorsero le vie principali della città a piedi, incatenati l’uno all’altro, tra due ali di folla che li accoglieva con invettive, lanci di verdure varie e sputi: il Corso, piazza Azuni, piazza Castello, piazza d’Italia e poi via Roma.

Sembra la scena iniziale del film Papillon con Steve Mc Queen e Dustin Hoffman, condannati alla famigerata Cayenna. Ed è così che da allora in poi il cronista della “Nuova” chiama San Sebastiano. Arrivi e partenze di mafiosi e camorristi durano per anni, nonostante le proteste dei politici sassaresi, soprattutto dopo una rivolta scoppiata nel 1910 e sedata a stento dall’allora direttore, dottor Tedesco. Il culmine si ebbe il 31 luglio del 1912, con l’arrivo di Enrico Alfano, il “capo dei capi” della camorra, condannato a più ergastoli durante il famoso processo Cuocolo col quale si credeva di aver debellato per sempre questo fenomeno mafioso. Solo che Erricone, elegantissimo nel suo vestito panama, non si muove a piedi dalla stazione: saluta con un cenno della mano la piccola folla presente, sale sulla carrozza di piazza numero 13 e, seguito da due carabinieri ciclisti, raggiunge tranquillo, come andasse a una gita in campagna, SantuBastianu, la Cayenna Sarda. (Ma ora, dicono i sassaresi, perché non ci facciamo un bel parcheggio in tutto quello spazio?).

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