Sassari, imprenditore sul lastrico si incatena davanti al tribunale
Il re dei formaggi della Nurra protesta in via Roma: «Costretto a chiudere il caseificio per gli errori della giustizia»
SASSARI. Lentezze burocratiche, accanimenti gratuiti, «errori della giustizia» possono distruggere anche un sogno imprenditoriale di eccellenza diventato a un certo punto realtà e poi ridotto a brandelli dal 2002 a oggi.
Massimo Bo, sassarese di 51 anni, titolare del rinomato Caseificio della Nurra che si trova a Porto Torres, ieri mattina si è incatenato ai cancelli del palazzo di giustizia di via Roma e ha iniziato uno sciopero della fame e della sete a oltranza. La sua azienda al momento è chiusa, la produzione bloccata, fermi i suoi formaggi che nel 2011 hanno arricchito il buffet di Venaria Reale in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia.
«Tutto comincia nel 2002 – racconta Bo – quando durante un’ispezione dell’Ispels nella mia azienda viene riscontrata l’alterazione del libretto di un macchinario che serve a produrre vapore per pastorizzare il latte. In sintesi l’impresa che me lo aveva venduto aveva modificato un codice, io ero ignaro di tutto fino a quel momento. A quel punto, come chiestomi dall’ispettore, riesco a farmi mandare il duplicato del libretto originale che mi consentirebbe di riaprire. Il 27 marzo del 2002 torna l’ispettore, verifica che è tutto a norma e quindi posso ripartire. Intanto, però, a quel punto avevo perso un anno di lavoro, la produzione ormai era saltata».
Massimo Bo fa causa – in sede penale e civile – all’impresa che gli aveva venduto il macchinario con certificato modificato. In ambito penale viene archiviato tutto «perché dicono che è civilmente rilevante. Dopo sei anni vado in Procura a protestare e il pm riscontra che in effetti l’alterazione di un documento è un reato penale ma ormai è tutto prescritto. In appello cassano la sentenza sostenendo che non avevo assunto personale. Non producevo, come potevo pagare i dipendenti? Ora siamo in Cassazione e vediamo come va». In sede civile invece cosa succede? «L’ispettore dell’Ispels sostiene davanti ai giudici di aver accertato la regolarità del nuovo certificato del macchinario a gennaio del 2010, in realtà era marzo. Due mesi che fanno una differenza sostanziale perché a marzo la mia produzione era ormai saltata. Ma quell’errore da parte del testimone mi è costato caro: per i giudici non ho ragione e quindi non vado risarcito».
La disavventura non finisce qui. «Poco tempo dopo viene accertato l’inquinamento dell’acqua a Porto Torres, chiuso ancora una volta. Faccio causa contro il Consorzio Asi, la Procura archivia di nuovo. L’attività rimane ferma un altro anno e perdo l’ennesima produzione. Poi come se non bastasse anche la Asl mi costringe a chiudere affermando che c’era della muffa sui muri. Assolutamente falso, oltretutto tre mesi prima della loro ispezione era stato fatto un intervento di disinfestazione ad hoc».
La situazione al momento è questa: il caseificio è chiuso da novembre, «non ho più un centesimo e non posso accedere a finanziamenti, le banche hanno cancellato il mutuo e il fabbricato è stato pignorato. Con i miei prodotti apprezzati ovunque ho dato lustro a questa terra che amo ma, a parte il prefetto di Sassari, non trovo nessuno che mi dia una mano».