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Sassari

Tossina della frutta: ecco come eliminarla senza usare alcol

Tossina della frutta: ecco come eliminarla senza usare alcol

La scoperta di un gruppo di microbiologi dell’università di Sassari è di grande importanza anche per la dieta islamica dove è vietato il consumo di alcolici

20 agosto 2014
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SASSARI. Parte da Sassari una scoperta che viene incontro anche alla dieta islamica. Un gruppo di microbiologi dell'Università di Sassari ha elaborato un rimedio per eliminare la pericolosa ocratossina A, una micotossina della frutta, senza produrre alcol: si tratta di una novità di rilievo internazionale, tanto sul piano scientifico che sociale.

La scoperta sarà infatti capace di soddisfare la dieta «halal» che, in base alle leggi islamiche, vieta il consumo di alcol.

La ricerca, appena pubblicata sulla rivista International Journal of Food Microbiology, si è svolta nell'ambito del progetto finanziato dalla Qatar Foundation, in collaborazione con il professor Samir Jaoua della Qatar University di Doha, ed è stata coordinata dal professor Quirico Migheli del Dipartimento di Agraria dell'ateneo sassarese.

Del team di ricercatori fanno parte anche Stefano Fiori, Paolo Urgeghe, Walid Hammamu e Salvatorico Razzu.

Un problema molto rilevante nella produzione di succhi di frutta è rappresentato dalla presenza di micotossine, generate da funghi filamentosi, che possono contaminare la frutta prima della raccolta o durante le fasi di trasporto e di conservazione e che possono provocare gravi danni al sistema renale.

L'assunzione di alimenti contaminati da ocratossina A (Ota) è un rischio in particolar modo per i consumatori abituali di vini rossi, di vini da dessert e di succhi d'uva.

Ma l'Ota viene riscontrata con una certa frequenza anche nei cereali, nella frutta secca, negli insaccati, nel caffè (in particolare nel caffè istantaneo), nella birra e in numerose altre bevande, comprese le tisane.

In via preventiva la Commissione Europea nel 2005 ha stabilito che il livello massimo di Ota nel vino e nel succo d'uva non possa eccedere i 2 microgrammi per chilogrammo di prodotto.

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