La Nuova Sardegna

Sassari

“Amici di Sassari” racconta storie di carcere e case chiuse

“Amici di Sassari” racconta storie di carcere e case chiuse

La rivista ideata da Benito Olmeo è stata pubblicata on line ma gli appassionati lettori possono chiederne una copia anche nell’edicola di viale Dante

11 settembre 2014
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Amici di Sassari. Lo si può essere in tanti modi. Del resto, in una città come la nostra, che sembra pigra ma cova sotto la pelle risentimenti e invidie, già non essere suoi nemici è quasi grasso che cola. Torniamo agli amici. C’è un gruppo, su Facebook, che ha un nome come questo (ho perso gli appunti, accettate l’approssimazione), che raccoglie e pubblica ricordi e foto della Sassari di un tempo. Ora ha affidato alla Rete perfino un rivista di 64 pagine. Non ho sottomano la rivista, e dunque non posso darne il sommario completo: e neppure il titolo, che comunque ha il nome di Sassari in ditta, facile da recuperare.

L’idea – mi dice il mio indefettibile amico Tore Sanna – è stata di Benito Olmeo, titolare di una edicola in viale Dante, praticamente all’angolo con via Torres. Il nome e l’indirizzo di Benito sono fondamentali perché, seguendo il trend imperante nella comunicazione di oggi (e di domani), la rivista esce solo on line. Ho detto “solo”, ma ho sbagliato: perché Benito ne stampa alcune copie cartacee che affida poi a chi volesse gustarle e conservarle in quella veste, forse da buon edicolante diffidente di queste parole e immagini affidate a qualche aerea Silicon Valley e più tranquillo, invece, quando si appoggia alla buona, antica carta figlia della cellulosa: verba volant, anche quelle di Facebook, scripta manent presso l’edicola di viale Dante. Torno al sommario. Quella che in America chiamerebbero la cover story, cioé l’articolo più importante, è dedicato alle carceri: quelle dove giacevano in profonde caverne i prigionieri di San Leonardo, a qualche passo dal patibolo dove il boia li avrebbe impiccati e squartati, quelle dove dal 1861, sotto il patronato di San Sebastiano, si sarebbe cercata una condizione più civile, e quelle appena inaugurate giù a Bancali, dove chi ci càpita dovrebbe avere il diritto di sperare di starci un po’ meglio.

Il secondo articolo è dedicato a quelle che nessuno, in nessuna parte d’Italia, ha mai chiamato, sino al 1958, “case di tolleranza”: avevano un altro nome più corrente e tolleranza garantita dallo Stato (ne fa memoria visiva un indimenticato bozzetto di Paolo Galleri dall’indimenticabile titolo, “Vicolo delle canne”).

Il terzo articolo è una lunga e affettuosissima rievocazione di Gino Ruzzetta, praticamente il Sardus-sacerensis pater della nostra canzone popolare. Andate da Benito, chiedete e vi sarà dato.

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