La Nuova Sardegna

Sassari

Storia di una crisi infinita

di Giovanni Bua

La “guerra” di questi giorni arriva da lontano, e potrebbe esplodere di nuovo

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SASSARI. È il 19 febbraio del 2014 quando Nicola Sanna, assessore al Bilancio di Gianfranco Ganau, si presenta in redazione alla Nuova Sardegna. Il suo sindaco solo tre giorni prima è volato a Cagliari sull’onda di oltre diecimila preferenze. Pigliaru ha stravinto le Regionali. E di che fine farà la consiliatura sassarese ancora in corso non si parla volentieri.

Io mi candido. L’agronomo, nato in Germania dove il padre faceva l’operaio, invece che festeggiare l’elezione dell’amico Luigi Lotto, affronta a testa bassa il tabù: «Bisogna andare a votare a maggio, fare le primarie per scegliere il candidato della coalizione. E io mi candido».

È quella mattina, o meglio la mattina dopo quanto l’impudente dichiarazione campeggerà sulle pagine del giornale, che tutto ha inizio. Diciannove mesi fa, due giorni prima del giuramento di Matteo Renzi e con il Pd in piena ebollizione.

Il successore. C’è da trovare il successore di Gianfranco Ganau, sindaco per 9 anni sorretto dal monolitico blocco di Giacomo Spissu e Silvio Lai. C’è da fare i conti con l’avvicinamento tra Antonello Cabras e Renato Soru, con il suo delfino Salvatore Demontis che è sbarcato sull’onda dell’ennesimo successo elettorale a Cagliari e annusa l’aria in Regione insieme a Gianfranco Ganau. In direzione si combatte, si cerca la sintesi, fioriscono i distinguo, si fissano le primarie, il 6 aprile, ci arriveranno in 5, tutti del Pd. E su quelle divisioni, a distanza di 17 mesi, ancora si ragiona.

Le primarie. L’ultima “iscritta”, e anche la scontata favorita, è Angela Mameli. Ex assessore alle Culture della prima giunta Ganau ed ex presidente dell’Ersu. Nome di peso che prende quota all’ultimo, quando appare chiaro che l’avvocato civilista originaria di Sorso è l’unica che può passare indenne ai veti incrociati dei tavoli in cui si lavorava a caccia della sintesi.

I candidati. Poi le altre donne, con Monica Spanedda, assessore alle politiche Ambientali, ex Progetto Sardegna vicina a Mario Bruno, che prepara il suo “colpaccio” ad Alghero. E Alessandra Giudici, che rompe con Giagu che l’ha mollata chiudendo l’accordo regionale sulla Mameli. A dare battaglia anche l’assessore alle Attività Produttive Gianni Carbini appoggiato dalla solida corrente di Gavino Manca e Bruno Dettori, già combattiva minoranza nel partito a livello regionale. E chiaramente Nicola Sanna, che è partito da mesi e continua ad allargare il suo consenso.

La carica dei diecimila. Si vota il sei aprile e alle urne vanno in 10mila. Il risultato è clamoroso: Angela Mameli che tutti davano per vincente al primo turno si ferma al 28%. Dovrà fare il ballottaggio con Sanna. Che ha regolato per qualche incollatura il suo compagno di giunta Gianni Carbini. Il colpaccio diventa più che possibile. Carbini e Spanedda convergono su Sanna. Anche Alessio Marras, che lascia la riserva dei pretoriani di Ganau, la civica Ora Sì, e che forse in questi giorni quel gesto sarà chiamato a pagare.

Il correntone. Sanna appare favoritissimo. Il correntone, “distratto” al primo turno, dà però un imperioso colpo di reni. Ma non basta. Vanno a votare in 13mila, Sanna vince per 43 voti. I perdenti non accettano il risultato. La pace armata verrà siglata dopo nove giorni di incontri incessanti. Il segretario provinciale del Pd, il vecchio giaguaro Salvatore Lorenzoni, si dimette: «non sono votato al martirio», dice. Mai previsione fu più azzeccata.

Le elezioni. Tra scricchiolii e tensioni la macchina del centrosinistra si mette in moto. E in poco tempo diventa una corazzata. Gli aspiranti sindaco sono sei, ma dei 615 candidati oltre 300 arrivano dalla coalizione guidata dai Dem.

Pace lontana. Il 26 maggio sugli avversari si abbatte uno tsunami: Sanna stravince al primo turno con il 65,54 per cento e un imbarazzante distacco di oltre 50 punti sul secondo. Pace fatta? Nemmeno un po’. Dopo poche ore appare chiaro che chi ha oliato la gioiosa macchina da guerra del sindaco ha commesso qualche grave disattenzione. In consiglio il primo cittadino arriva senza truppe, solo due consiglieri tra i dodici eletti del Pd. E a fare il pieno sono i suoi ex avversari, che rialzano la testa. La battaglia ha di nuovo inizio, più furiosa che mai.

La rottura. L’11 giugno il dramma arriva al suo apice. Dopo giorni di faccia a faccia con i consiglieri e di incontri con i loro “referenti” nella notte del 10, con l’accordo a un passo almeno con l’area Demontis, salta il tavolo. Il pomeriggio del giorno dopo arriva un comunicato in cui 13 consiglieri chiedono «trasparenza, collegialità e democrazia partecipata nella scelta della giunta». Al netto delle parole è di fatto una dichiarazione di guerra. E Sanna la raccoglie.

Giunta di guerra. Convoca gli assessori e alle 21 nomina una giunta al Napalm. Luca Taras e Maria Francesca Fantato, area Carbini il primo, civatiana la seconda, e Luigi Polano (Spanedda-Bruno) sono i primi tre dei non eletti. Sarebbero dovuti entrare in aula per riequilibrarla se gli assessori del correntone fossero stati pescati tra i consiglieri. Si siedono in giunta «con le valigie pronte appena si troverà l’accordo» dicono. Avranno tempo di disfarle.

L’altalena. Da quel momento inizia l’altalena. L’assemblea elegge come presidente del consiglio Antonio Piu, e questo sembra migliorare, almeno con l’area Soru-Demontis, il clima. Ma già alla presentazione delle linee programmatiche il 31 luglio l’atmosfera in aula è mefitica. E si rischia la rottura.

Intensità variabile. Si andrà avanti così per quindici mesi. Da una parte Demontis e il neo segretario regionale Soru, eletto a fine ottobre, tessono pazienti la loro tela, dall’altra il circolo Intregu, punto di riferimento dei soriani cittadini, riserva durissime bordate al lavoro dell’esecutivo, soprattutto quando Sanna mette in discussione progetti già chiusi come il centro intermodale o l’allargamento del tracciato della metropolitana di superfice. La pace con Giacomo Spissu sembra sempre a un passo, ma la capogruppo spissiana Esmeralda Ughi guida il gruppo dei “dieci” che “mena le mani” su Puc e ospedale, campus e Ztl. I rapporti del sindaco con Ganau sono tesissimi. Quelli con Lai a tratti inesistenti.

Consiglio scivoloso. Mesi di battaglia a intensità variabile in aula e fuori, pax congressuali e accordi mai arrivati. Minacce di dimissioni e documenti di fuoco. Con i “piccoli” che a primavera iniziano a mostrare i muscoli. E i conti che a quel punto non tornano più. Nel mentre l’attività amministrativa va avanti, anch’essa a intensità variabile. Il sindaco rivendica di lavorare più che mai, porta a casa il piano urbanistico, mette mani al “feticcio” ztl, fa saltare per aria all’ultimo metro il progetto Ersu del Campus in terreni privati e lo sostituisce con un accordo (in gran parte ancora da venire) con università e ministero.

L’utlimo giro. «Mette bocca dappertutto, invece di portare a casa quello che è già chiuso», attaccano i suoi oppositori. Che però, al netto di qualche clamoroso sgambetto (come l’elezione del comandante dei barracelli) in consiglio fanno il loro. Consiglio che però, con la crisi sempre aperta, diventa luogo di ultra ordinaria amministrazione. E da cui l’iper attiva giunta si tiene per quanto possibile alla larga. Dopo i cambi di geografie regionali e nazionali del Pd, la rottura di assi e correntoni, la pax agostana segnata dalla clamorosa e violentissima contestazione ai Candelieri, l’ultimo strappo, E forse la soluzione. Di una crisi che arriva da molto lontano. Che potrebbe finire, o divampare più forte che mai.

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