La Nuova Sardegna

Sassari

A Sassari un orto biologico sociale per far lavorare i rifugiati

di Giovanni Bua
A Sassari un orto biologico sociale per far lavorare i rifugiati

Progetto regionale presentato dalla coop che gestisce il centro di Predda Niedda È la stessa che ha inventato “Pagi”, la squadra di profughi che gioca in Seconda

29 dicembre 2015
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SASSARI. Un orto biologico sociale. In cui verranno impiegati e formati otto giovani richiedenti protezione internazionale, ospitati nella struttura di accoglienza di Predda Niedda. Questo il progetto che ha ricevuto nelle scorse settimane il parternariato del Comune di Sassari, primo passo necessario per concorrere al bando pubblico della Regione “CultuRas”.

A realizzarlo la cooperativa che gestisce a Sassari il centro di accoglienza per migranti di Predda Niedda. La stessa che, guidata dal presidente Pierpaolo Cermelli e dalla vice Fabiana Denurra, si è inventata lo scorso ottobre “Pagi”, l’unica formazione in Italia composta da richiedenti asilo che milita regolarmente nel campionato di calcio di Seconda categoria.

E, animati dallo stesso spirito, ora Cermelli e Denurra, insieme ai loro collaboratori, rilanciano. Con un progetto che, arrivi o meno il finanziamento regionale, andrà avanti lo stesso. L’idea è semplice quanto ben congeniata: il progetto si svolgerà all’interno di un terreno a Latte Dolce e coinvolgerà in maniera periodica e sulla base di apposite convenzioni i giovani studenti dell’istituto tecnico agrario e dell’oratorio. L’idea è partire dalla specialità cittadina, la coltivazione degli orti, intesa qui come strategia educativa.

Come sempre, quando le cose si fanno per bene, niente di nuovo. L’orticoltura è infatti ampiamente utilizzata in numerosi contesti urbani europei e nord americani come veicolo di reinserimento. Anche perché, oltre che permettere di scaricare lo stress con la cura del prodotto e il salutare lavoro manuale, insegna un lavoro complesso e consente di avvicinare progressivamente, attraverso professionisti del settore, il soggetto ed il gruppo alla gestione, anche amministrativa, dell’orto.

Proprio questa è l’idea dei proponenti. Che, sfruttando l’eventuale contributo regionale per comprare i primi attrezzi necessari e per pagare i primi tutor, vuole creare un circuito virtuoso nel quale gli otto formati diventino poi a loro volta formatori, e il lavoro e gli investimenti fatte non si perdano ma si moltiplichino, consentendo all’impresa di raggiungere in tempi brevi l’autosufficienza economica e, perché no, anche garantire una minima fonte di reddito ai partecipanti.

Il tutto tramite la produzione di ortaggi bio, che verrebbero venduti a basso costo principalmente agli abitanti del quartiere di Latte Dolce, permettendo così di rinsaldare i rapporto con il quartiere che ospita l’iniziativa.

«Il punto vero – spiega Pierpaolo Cermelli – è dare a questi ragazzi un’opportunità di vivere nel territorio che li ospita. Interagire, produrre, guadagnare. Il vero dramma per queste persone è vivere in una sorta di limbo, senza prospettive e speranze. Una situazione che finisce per essere di enorme stress sia per chi è ospitato che per chi ospita. Far lavorare questi ragazzi in un orto, fargli produrre degli alimenti, farglieli vendere alle persone con cui vivono, può cambiare le prospettive di tutti. E trasformare un problema in una risorsa».

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