La Nuova Sardegna

Sassari

Medici di Sassari a giudizio per omicidio colposo

Nadia Cossu
Una sala operatoria
Una sala operatoria

Il pubblico ministero ha preannunciato che chiederà l'assoluzione degli imputati

14 gennaio 2016
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SASSARI. Il pubblico ministero lo ha annunciato ieri, 13 gennaio, a margine delle eccezioni sollevate dalla difesa nella prima udienza del processo per colpa medica a carico dei due chirurghi sassaresi Alberto Porcu e Luca Pilo, rinviati a giudizio per omicidio colposo, falso materiale e ideologico e soppressione di parti di cadavere. «Vi anticipo – ha detto il procuratore Paolo Piras – che per quest’ultimo reato chiederò l’assoluzione dei due medici».

Ma bisogna fare un passo indietro e ricostruire la vicenda che quattro anni fa ha portato alla morte di un pensionato sessantenne di Tresnuraghes (originario di Suni), Tullio Coratza, deceduto a maggio del 2012 alle cliniche San Pietro di Sassari dopo una toracotomia eseguita per la diagnosi di un tumore al mediastino. Il giudice dell’udienza preliminare Giuseppe Grotteria aveva chiesto il processo per il direttore del reparto di Chirurgia delle grandi obesità Porcu e per il suo collega Pilo. Con un’accusa certamente insolita nelle inchieste per colpa medica: la soppressione di parti di cadavere.

Questa ipotesi di reato si era aggiunta alle due precedenti (omicidio colposo e falso) in udienza preliminare su decisione dell’allora pubblico ministero Elisa Loris. Il medico legale che eseguì l’autopsia sul corpo del pensionato segnalò infatti l’assenza del pericardio, la membrana che avvolge il cuore. Quell’organo risulterebbe misteriosamente sparito e secondo la Procura i chirurghi nulla scrissero in merito sulla cartella clinica. Da qui la nuova contestazione. Ieri mattina, all’apertura del processo, il pm Piras ha anticipato che per questo reato chiederà l’assoluzione. E ha spiegato anche perché. «La soppressione di parti di cadavere sussiste nei casi in cui spariscano parti come una mano o un braccio che suscitano l’idea della pietà nei confronti del defunto. Nel caso specifico, invece, il pericardio è una membrana, un velo che riveste il cuore». Invisibile all’occhio, quindi. Per questo non suscita pietà e non lede, in sintesi, il diritto del prossimo congiunto o erede del defunto di disporre del cadavere. Il pericardio sarebbe sì sparito, secondo la Procura, ma il fatto non costituirebbe reato.

Tullio Coratza nel 2012 era andato alle cliniche San Pietro per una biopsia necessaria per la diagnosi di un tumore. I precedenti due tentativi non avevano chiarito l’entità del male. Durante la toracotomia venne però recisa l’arteria polmonare e in pochi minuti il pensionato morì per «arresto cardiaco in shock emorragico». Lo stesso pomeriggio i familiari della vittima si erano rivolti all’avvocato Giuseppe Longheu e si erano precipitati in Procura. Il sostituto procuratore Loris aveva affidato al medico legale di Torino, Rita Celli, l’incarico per l’autopsia. E proprio la consulenza della Celli avrebbe sollevato dubbi sulla condotta dei medici e convinto il pm a chiederne il rinvio a giudizio inizialmente solo per omicidio colposo perché «quella toracotomia esplorativa è da considerarsi - scriveva la Celli - un intervento a elevato rischio con un rapporto rischio/beneficio per il paziente fortemente sbilanciato».

A detta della consulente i due chirurghi avrebbero dovuto eseguire indagini alternative come ad esempio una Tac spirale, «più cauta e di prima scelta». Successivamente il pm ha contestato la soppressione di parti di cadavere. «Non si parla nella scheda chirurgica - si legge infatti nella relazione della Celli - della rimozione del pericardio, né se ne riesce a individuare una plausibile giustificazione».

Le eccezioni della difesa. Due le principali eccezioni sollevate ieri mattina dagli avvocati difensori Pietro Diaz, Carlotta Pilo, Toto Porcu e Pasqualino Federici. I legali hanno chiesto al giudice Teresa Castagna che la consulenza disposta a suo tempo dal pm Loris come accertamento tecnico irripetibile non entri nel processo.

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