La Nuova Sardegna

Sassari

Omicidio Campus, i familiari della vittima: «Garau fuori dal carcere? Non è giusto»

di Daniela Scano
Marta e Vittoria Campus, figlie della vittima (qui sotto), con la zia paterna Felicita Campus il giorno della sentenza di primo grado
Marta e Vittoria Campus, figlie della vittima (qui sotto), con la zia paterna Felicita Campus il giorno della sentenza di primo grado

La figlia e la sorella dell’uomo ucciso dall’allevatore di Codrongianos parlano dopo la sua scarcerazione per motivi di salute

26 gennaio 2016
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FLORINAS. Ci sono tragedie spartiacque delle esistenze: c’è il prima e c’è il dopo. La “linea di confine” di Vittoria e di Felicita Campus è la mattina del 25 settembre 2009, quando seppero che Gianfranco «era stato preso». In realtà era morto da ore ma loro non lo sapevano: avrebbero scoperto la verità un anno dopo, quando i carabinieri ritrovarono il suo cadavere dentro una fossa.

Nella vita di “prima” c’erano un padre affettuoso, un figlio affidabile, un fratello scherzoso. E un maneggio nelle campagne di Florinas, che poteva diventare il lavoro della piccola di casa appassionata di equitazione.

Nella vita di “dopo” ci sono stati le ricerche frenetiche, l’ansia, gli arresti, le confessioni, l’orrore misto al sollievo per il ritrovamento del corpo di Gianfranco nel terreno dell’ex amico Angelo Garau. Orrore perché quegli amabili resti raccontarono la ferocia del suo assassino, sollievo perché dal settembre del 2010 la famiglia Campus ha almeno una tomba su cui piangere. Del “dopo” fanno parte anche i processi, gli avvocati, le sentenze, il desiderio inevitabile di voltare pagina. Invece all’improvviso accade qualcosa che ti fa precipitare di nuovo indietro di sei anni.

Per Vittoria e Felicita Campus, figlia e sorella dell’allevatore di cavalli trucidato il 25 settembre del 2009 alle porte di Florinas, la disperazione è tornata con la notizia della scarcerazione di Angelo Garau, l’allevatore di Codrongianos condannato all’ergastolo per avere trucidato il loro padre e fratello.

Sono passati solo sei anni dalla condanna al carcere a vita, ma Angelo Garau è molto malato. Le sue condizioni per una patologia polmonare cronica il 31 dicembre sono state giudicate incompatibili con il carcere. «Che era uscito l’ho saputo casualmente – racconta Vittoria, che vive a Codrongianos –. La notizia ha fatto molto male a me e a mia sorella». «Non fa parte del mio carattere negare le cure – chiarisce la figlia di Gianfranco Campus –. Però mi fa rabbia l’idea che questa persona, dopo quello che ha fattoe nonostante la condanna che ha avuto, possa essere accudito amorevolmente da chi gli vuole bene. Ci sono strutture dove poteva essere assistito, un centro carcerario dove comunque la sua libertà fosse limitata. Perché lui quando si sente male può avere il conforto di una persona che lo ama? Io non posso più dare alcun conforto a mio padre invece lui, nonostante tutto, ha anche questo. Questa è giustizia?»

Vittoria e Felicita Campus raccontano come cambia la vita dopo una storia così terribile. «Perché si parla sempre poco delle vittime – dicono –. Forse non interessa a nessuno, ma il decadimento della nostra famiglia è cominciato con la morte di Gianfranco». Quel giorno anche la loro esistenza è entrata in un tunnel. Il maneggio, per esempio, non esiste più. «In quel maneggio mio padre stava costruendo un futuro per Marta, mia sorella, istruttrice di equitazione – racconta Vittoria –. Lo abbiamo smantellato, non aveva più senso senza di lui». Quando il padre sparì Marta aspettava un bambino ma lo perse. Quello fu il primo lutto del “dopo”. Felicita Campus infatti è certa che anche i suoi genitori siano stati uccisi dal dolore. «Il 25 settembre accompagnammo a casa mio padre e mamma ci venne incontro chiedendoci di Gianfranco – racconta –. Non sapeva ancora nulla ma si sentiva che era accaduto qualcosa di irreparabile». Due mesi dopo la donna si ammalò di un tumore al quale oppose resistenza fino al giorno del ritrovamento del corpo del figlio. Un mese dopo morì. Signor Franceschino invece è morto il 13 gennaio del 2014. «Per lui Gianfranco era tutto, babbo lo disse a chiare lettere al processo – ricorda Felicita –. Ha lottato per avere giustizia, ma poi si è arreso all’assenza». «Abbiamo anche dovuto saldare il conto degli avvocati dei nostri anziani genitori – racconta Felicita Campus –. Oltre al danno la beffa». Già, perché nessuna delle parti civili ha ricevuto un centesimo delle centinaia di migliaia di euro accordate dai giudici come risarcimento danni. «Anche io sto ancora pagando le spese legli – racconta Vittoria –. Ma, soprattutto, con mia sorella e i familiari di mio padre sto continuando a pagare per una assenza che nessuno potrà mai colmare. L’uomo che ha ucciso mio padre è a casa sua, accudito amorevolmente. Lo so che lo prevede la legge, ma non è giusto».

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