La Nuova Sardegna

Sassari

Bonassai, laggiù dove salvano le aquile

di Andrea Massidda
L'aquila e la volpe (foto Daniele Lorrai)
L'aquila e la volpe (foto Daniele Lorrai)

Sassari, nel Centro di cura e recupero per animali ogni anno vengono assistiti in media settecento esemplari di tutte le specie

09 dicembre 2016
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SASSARI. Titou, un volpacchiotto orfano ritrovato un annetto fa nelle campagne di Orani, se ne sta nascosto dentro la tana fatta apposta per lui. Forse lo ha spaventato il rumore di un trattore, forse il via vai di curiosi. Comunque sia preferisce non rischiare. Ne ha passato troppe nella sua breve esistenza: oltre alla perdita della madre, probabilmente uccisa, è stato vittima di un’adozione inadeguata e di una frattura alla tibia, alla quale è seguita una brutta infezione ossea e la conseguente osteomielite. Tanto che quando gli uomini della Forestale lo avevano consegnato nelle mani dei veterinari, il cucciolo rossiccio era letteralmente in fin di vita. Mentre ora saltella come un gatto e presto sarà liberato nei luoghi natii.

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Ospedale per animali. Miracoli che accadono a Bonassai, lungo la strada che da Sassari porta a Fertilia, dove dal 1987 è attivo un centro zooiatrico dell’Ente Foreste che si occupa della cura e del recupero della fauna selvatica, non necessariamente autoctona. Qualcosa di simile a una clinica per animali dotata di sala operatoria, macchinari radiologici e un laboratorio dove vengono svolte necroscopie ed esami parassitologici. Ci lavorano in tutto quindici persone, tra amministrativi, operai e due veterinari: Flavia Pudda e Marco Muzzeddu, che è anche il responsabile sanitario. Entrambi sono praticamente in servizio continuo, o comunque sempre reperibili. Perché in questo centro di cura non si bada troppo alle ore di lavoro e nemmeno alle specie da assistere: si ridà la salute ai piccioni come alle aquile reali, alle poiane come ai daini, alle comunissime testuggini come ai rarissimi grifoni sardi, perennemente a rischio estinzione. «L’attività del Centro - spiegano i responsabili sanitari - verte su quattro compiti principali: recupero degli animali selvatici, allevamento della pernice sarda, attività di studio e ricerca, educazione ambientale per le scolaresche».

Il Centro è dotato di un parco riproduttori di 500 coppie e di voliere d’allevamento. Gli animali prodotti sono stati oggetto di ripopolamento prima grazie al Corpo Forestale e poi, come stabilito dalla legge regionale 23 del 1998, grazie all’intervento alla Provincia.

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Pronto soccorso. Ma è la parte dell’assistenza sanitaria quella che colpisce immediatamente. Così come colpiscono le strutture per la degenza degli animali feriti, sistemati in box di ricovero dedicati alle singole specie. «Ogni anno - racconta Flavia Pudda - qui da noi vengono portati più di sessanta specie differenti di animali selvatici, con una media annua di settecento ricoveri».

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Emergenze. Che si tratti di un vero e proprio pronto soccorso lo si capisce in momenti particolari. Per esempio quando Caterina Razzoli, volontaria del Coresa (una sorta di 118 per animali che dà assistenza in 66 comuni della provincia di Sassari) insieme al comandante Marco Solinas, consegna ai veterinari una scatola con dentro un riccio di terra proveniente da Arzachena. Una corsa disperata, ma purtroppo inutile: non ce l’ha fatta, è morto durante il trasporto. Tuttavia, in questo luogo, di vite se ne salvano in continuazione. Passeggiando per i “reparti” si scorgono il gabbiano reale, il barbagianni, tanti mufloni, falchi pellegrini e persino cinghiali, con il paradosso che la Regione da una parte li abbatte perché sono troppi, dall’altra li cura se si feriscono. «Solitamente quando un privato avvista un animale in difficoltà chiama la Forestale - spiega ancora Flavia Pudda -, poi la centrale operativa allerta le guardie zoofile che si occupano del recupero della fauna selvatica. A quel punto gli animali vengono portati qua, proprio come se fossero in ambulanza».

Il reinserimento. E dopo le cure e la riabilitazione, che cosa succede? «Gli esemplari che ci vengono consegnati - racconta Marco Muzzeddu -, una volta curati e stabilizzati sono pronti per tornare in libertà. Ovviamente per il reinserimento in natura rispettiamo il luogo di provenienza, o almeno questo succede per gli animali adulti, perché i giovani spesso vengono allontanati dai simili più maturi che si apprestano a una nuova riproduzione».

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