La Nuova Sardegna

Sassari

gli arresti del 2005

Trafficanti di reperti reato prescritto in appello

di Nadia Cossu
Trafficanti di reperti reato prescritto in appello

SASSARI. Nel 2005 l’inchiesta della Dda di Torino per un traffico internazionale di reperti archeologici portò all’arresto di diversi sardi. Finirono a processo e nel 2007 ci fu la sentenza di primo...

13 maggio 2017
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SASSARI. Nel 2005 l’inchiesta della Dda di Torino per un traffico internazionale di reperti archeologici portò all’arresto di diversi sardi. Finirono a processo e nel 2007 ci fu la sentenza di primo grado: la condanna più pesante venne inflitta a Giovanni Gungui, 68 anni di Orgosolo al quale furono inflitti sei anni. Per quanto riguarda invece gli altri imputati, fu condannato a tre anni e 4 mesi Daniele Farina, 51 anni, originario di Città di Castello ma residente a Sarule. Mentre Giovanni Azzena, 54 anni, di Tempio, fu condannato a 10 mesi e Mario Lostia, 62, di Ozieri e Francesco Maoddi, 56 anni, di Gavoi a tre anni con il rito abbreviato.

Proprio questi ultimi tre, assistiti dall’avvocato Antonio Secci, avevano presentato ricorso in Appello. E i giudici di secondo grado alcuni giorni fa hanno dichiarato che il reato è prescritto. Vicenda giudiziaria conclusa.

L’inchiesta era scattata a marzo del 2005, quando vennero arrestati i primi tre sardi: Maoddi, Lostia e Gungui. Un provvedimento successivo alla scoperta, nel centro di Torino, di un’Alfa Romeo con cinque persone a bordo, carica di reperti archeologici e di alcuni quadri (poi risultati falsi). Secondo gli investigatori, alcuni componenti dell’organizzazione stavano per passare il confine con la Svizzera e consegnare ai potenziali acquirenti bronzetti e altri reperti archeologici provenienti da scavi illegali nella zona nord-ovest della Sardegna. L’indagine consentì di recuperare complessivamente 244 pezzi. Tra i più pregiati, una navicella nuragica, un arciere, 80 bracciali e anelli di bronzo, tutti materiali databili tra il 1200 e il 1100 a.C. Per l’accusa, la «merce» sarebbe stata nella disponibilità dei tre imputati sardi. E anche se all’epoca degli arresti non fu possibile ricostruire i vari passaggi e, soprattutto, i giacimenti dai quali vennero prelevati i preziosi reperti, la condanna di primo grado scattò per la ricettazione. Le analisi compiute dagli investigatori che lavorarono a lungo tra il Piemonte e la Sardegna, scandagliando anche il mercato Svizzero, accertarono che l’obiettivo degli imputati era di rifornire il sempre fiorente mercato internazionale dei collezionisti. L’inchiesta della Procura di Torino ripropose il grave problema del saccheggio dei giacimenti archeologici della Sardegna, ma anche del traffico dei reperti rubati dai luoghi di esposizione e inseriti (a seguito di canali pubblicitari che giungono fino al mercato clandestino) nel circuito del collezionismo internazionale. Dove figurano ancora oggi appassionati pronti a pagare cifre importanti per portarsi a casa «pezzi» di particolare interesse.

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