La Nuova Sardegna

Sassari

Direttrice assolta, ma ora Poste Italiane vuole i soldi

di Nadia Cossu
Direttrice assolta, ma ora Poste Italiane vuole i soldi

Maria Cristina Manca scagionata dai giudici d’appello dopo 6 anni di processi. Il verdetto non è stato impugnato ma l’azienda le scrive: restituisci 15mila euro

16 maggio 2017
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SASSARI. «Quando ho visto quella raccomandata che arrivava da Poste Italiane – l’azienda per la quale ho lavorato per 24 anni – ho pensato a una lettera di scuse. Invece mi chiedevano un risarcimento di 15.680 euro da versare sul conto intestato alla società Poste utilizzando la causale “Operazioni non autorizzate su libretti di Uri e Mores”. Fatti per i quali sono finita a processo con l’accusa di peculato. Peccato però che sia stata anche assolta. E che nessuno abbia impugnato la sentenza», che ora infatti passa in giudicato.

Oltre al danno la beffa, verrebbe da pensare come prima cosa. Maria Cristina Manca, 61 anni, di Usini, non sa se provare più rabbia o delusione per quello che le è capitato. Due processi e una medesima accusa: peculato. Secondo il pm si sarebbe impossessata – all’epoca in cui era direttrice degli uffici di Mores e di Uri – dei soldi di due clienti prelevandoli dai loro libretti di risparmio. Per la prima vicenda, nel 2014 venne condannata in primo grado a tre anni e sei mesi di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici, in appello fu assolta «per non aver commesso il fatto». Per quanto riguarda Uri, invece, venne direttamente assolta in primo grado «perché il fatto non sussiste», scrissero i giudici. Dopo sei anni terribili durante i quali ha dovuto difendersi nelle aule del tribunale «da accuse infamanti che mi hanno fatto passare le notti in bianco», arriva un’altra doccia gelida: «Poste italiane anziché chiedermi scusa per un palese errore che di certo non è attribuibile alla mia persona, vorrebbe un risarcimento con gli interessi. Tutto questo nonostante due giudici mi abbiano scagionato dalle accuse e le due sentenze non siano state impugnate dall’azienda». Uno dei clienti, infatti, fece causa a Poste Italiane che fu costretta a restituirgli oltre 11mila euro.

Tutto comincia nel 2008. Un piccolo gruzzolo “sparisce” sul libretto di risparmio di un utente delle poste di Mores, nel passaggio tra la versione cartacea e quella elettronica. Un ammanco di poco più di 11mila euro che secondo la procura della Repubblica di Sassari si può spiegare solo con il prelievo di questo denaro da parte di chi non avrebbe dovuto: l’ex direttrice Maria Cristina Manca.

Ma la donna – che in tutta questa lunghissima vicenda giudiziaria è stata assistita dagli avvocati Rita Vallebella e Franca Lendaro – si è sempre difesa con forza. L’inchiesta era nata da una ispezione delle stesse Poste spa, che si era resa necessaria quando il proprietario del libretto, a febbraio 2008, si era presentato allo sportello. Aveva mostrato un foglio dove vengono riepilogati i dati salienti del libretto “elettronico” – intestatario e saldo – e al cassiere aveva chiesto di poter prelevare quasi tutti i circa 12mila euro che credeva di avere sul conto. Ma dopo aver controllato sul terminale, il cassiere gli aveva comunicato che quei soldi erano già stati presi. Il cliente era andato su tutte le furie, giurava di non aver mai prelevato quel denaro. Allora le Poste avevano inviato a Mores un ispettore da Roma, che dopo aver sentito gli altri dipendenti, aveva concluso per una (presunta) responsabilità della direttrice, e mandato una denuncia in Procura. L’imputata era stata condannata in primo grado e assolta in secondo. Tra le motivazioni del presidente Mariano Brianda una su tutte: la firma apposta sulle distinte di prelevamento era quella del titolare del libretto. E lui stesso l’aveva riconosciuta. I giudici, motivando la riforma della sentenza di primo grado, hanno parlato di «dati univoci, di natura obbiettiva, che minano insanabilmente l’ipotesi accusatoria, tramutandosi in elementi in favore dell’appellante».

Il caso di Uri è simile al precedente. La Manca viene accusata di essersi impossessata, secondo l'accusa, di circa 2500 euro prelevandoli dal libretto di un’anziana utente. Ma anche in quel caso l’equivoco era attribuibile al momento della conversione dei libretti cartacei in libretti on line. E infatti è stata assolta.

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