La Nuova Sardegna

Sassari

Negli Statuti la prima lezione della dieta a chilometro zero 

di Antonio Meloni
Negli Statuti la prima lezione della dieta a chilometro zero 

Convegno svela come mangiavano i sassaresi 700 anni fa Finito il ciclo di incontri curato da Comune e Archivio storico 

03 luglio 2017
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SASSARI. Pure in assenza di ricette che raccontino nel dettaglio le modalità di preparazione delle pietanze d’epoca medievale, gli Statuti sassaresi ci tramandano comunque una grande lezione. La materia prima era quella proveniente dal territorio, caratterizzato da terreni coltivati, bene esposti e ricchissimi d’acqua che veniva distribuita razionalmente con l’impiego di moderni sistemi di irrigazione. Una realtà nota, ma poco esplorata emersa durante il consueto appuntamento dei “Martedì dell’Archivio” che ha visto allo stesso tavolo, moderati dal direttore Paolo Cau nella sala al piano terra della sede di via dell’Insinuazione un giornalista enogastronomico, nonché storico dell’alimentazione, Giovanni Fancello, e la funzionaria di Laore Grazia Manca.

Il tema della conversazione, “cultura del cibo e modelli alimentari”, era incentrato sull’analisi degli aspetti gastronomici individuati nel testo degli Statuti, documento che si rivela sempre più prezioso per la ricostruzione della temperie storica e culturale della città medievale. Purtroppo mancano riferimenti precisi a ricettari o modalità di preparazione delle pietanze e del resto un testo di legge, per quanto ricco e variegato, deve trattare altri temi. Però è possibile comunque, almeno per deduzione, azzardare qualche ipotesi, tenuto conto del fatto che la “mini costituzione” dell’antico comune pazionato normava, per esempio, settori importanti come commercio e mercato. «In ogni caso – spiega Paolo Cau – ci aiutano anche i reperti rinvenuti durante le più recenti campagne di scavo condotte in città dall’archeologa Daniela Rovina nel periodo del rifacimento dei sotto servizi».

Incrociando dati provenienti dalle diverse fonti, emerge intanto la tradizionale classificazione dell’alimentazione per censo e se il pasto dei ricchi era certamente a base carnea, quello delle classi meno abbienti era invece caratterizzato da una dieta più povera, con molti ortaggi e una costante presenza di pietanze realizzate dagli scarti. E’ chiaro che con una ricetta potremmo capire come quei piatti venivano confezionati e individuare, magari, una base identitaria più marcata. «Certo è – dice Giovanni Fancello – che tra le corti medievali circolavano le informazioni e si diffondevano mode e tendenze perciò si può pensare che anche nella Sassari medievale il cibo, come nelle altre città, soprattutto toscane, fosse grasso colorato e con nomi ben precisi».

La lezione più importante tramandata dagli Statuti, tuttavia, è legata non solo al grande impulso dato in quel periodo all’agricoltura, soprattutto orti, oliveti e frutteti, ma anche alla provenienza dei prodotti che arrivavano direttamente dal territorio. Lezione che, per dirla con le parole di Grazia Manca, dovremmo rispolverare e fare propria: «Il cibo – spiega la funzionaria di Laore – dovrebbe tornare al centro dell’agenda politica soprattutto a livello locale e periferico, a cominciare dai piccoli centri, ogni realtà dovrebbe incentivare la valorizzazione e l’impiego delle produzioni tipiche e non solo per questioni prettamente economiche». Alimentazione, cibo e identità, diventano dunque elementi di uno stesso programma da sviluppare pensando sì all’economia, ma anche alla tutela delle tipicità e alle salute dei consumatori. Quello di martedì era l’ultimo appuntamento di un ciclo di conferenze che rientrano nel quadro delle iniziative promosse dal Comune per la celebrazione dei Settecento anni degli Statuti sassaresi.
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