La Nuova Sardegna

Sassari

La teste al processo sul caso Alzheimer: urla e terrore durante le visite

di Nadia Cossu
Un fotogramma di un video che mostra le violenze su una paziente
Un fotogramma di un video che mostra le violenze su una paziente

“Metodo Dore”, primi racconti choc nel processo ai 21 imputati di maltrattamenti e truffa. L’accusa: «Violenze sui pazienti»

31 gennaio 2018
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SASSARI. «Il signor Cosimo diceva a sua moglie che era una “donnaccia”. Una volta, nel mese di dicembre, la lasciò fuori in cortile e chiuse la porta, un’altra le punse la mano con la forchetta mentre mangiavano. La provocava in questo modo... Durante una visita nello studio di dottor Dore io ero in sala d’attesa e sentivo la signora Agnese urlare: “Aiuto, aiutatemi!”».

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La testimonianza. A parlare è Maria Vittoria Derosas, una delle badanti di Agnese, l’anziana malata di Alzheimer che – nel 2012 – era in cura dal neurologo Giuseppe Dore, a Ittiri. È una delle prime persone chiamate a deporre davanti ai giudici del tribunale di Sassari dove ieri mattina si è tenuta la seconda udienza del processo a carico di 21 imputati – tra medici, politici, dirigenti Asl dell’epoca e familiari di pazienti – accusati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, abuso d’ufficio, maltrattamenti, lesioni, sequestro di persona e omicidio colposo.

Al centro dell’inchiesta la Psiconeuroanalisi: pazienti maltrattati – è l’accusa – in nome di una sorta di “rinascita”. La contestata terapia era stata ideata dal neurologo 47enne di Ittiri Giuseppe Dore – tra i 21 imputati – che aveva adottato un modello di cura dell’Alzheimer e di alcune forme di demenza che non si basava sull’uso di farmaci ma su esercizi linguistici e vitamine. E violenza, per l’accusa.

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Il metodo Dore. «Lavorai per Cosimo Saba e Agnese Boi di Dolianova per quasi due mesi – racconta l’assistente – Avevano preso una casa a Ittiri su indicazione di dottor Dore. Proprio quest’ultimo mi volle conoscere e andai nel suo studio, ricordo bene che mi disse una cosa che mi lasciò senza parole: “L’Alzheimer non esiste”. Alla signora erano stati sospesi tutti i medicinali, seppi in seguito che il neurologo spiegò che Agnese era come “una bambina viziata che doveva essere rieducata”».

Le urla di una paziente. La badante, rispondendo alle domande del procuratore Gianni Caria (che in questo processo rappresenta la pubblica accusa), si è soffermata su un episodio: «Un giorno la signora si sentì male a casa, suo marito Cosimo chiamò qualcuno ma non ricordo però se venne direttamente Giuseppe Dore oppure il suo collaboratore Davide Casu. Ricordo però che la presero con la forza, la stringevano ai polsi, lei urlava. Io, essendo la sua badante, la lavavo e mi è capitato di vederle lividi nel viso, nei polsi e anche una bruciatura nella mano. Suo marito a volte era tranquillo con lei, altre no. Assistevo a episodi di violenza verbale, offendeva la sua famiglia, le diceva che era una donnaccia». L’uomo all’epoca dell’inchiesta fu arrestato insieme ad altri 14 imputati.

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Provocazioni e paure. Quel periodo lo ricorda molto bene Stefania Saba, figlia di Agnese. Parla in aula con tono sommesso, ripercorre momenti di sofferenza: «Contattammo la dottoressa Marinella D’Onofrio (anche lei imputata ndc) perché ce ne parlò una vicina. Alla prima visita vide la documentazione medica su mia mamma e disse che non aveva l’Alzheimer e che bisognava cominciare a scalare i farmaci. Ci indirizzò da Dore». Iniziano i viaggi settimanali da Dolianova: «Ogni volta visita a pagamento, poi Dore suggerì a mio padre il trasferimento a Ittiri, sosteneva che fosse importante l’allontanamento dal nucleo familiare».

Primo obiettivo da raggiungere? «Dore stimolava mia mamma perché voleva che riuscisse a scrivere il suo nome, a fare la firma. Ma non c’erano risultati positivi. A mio padre il neurologo diede l’indicazione di tenerla sveglia, non doveva farla dormire, doveva esser lei a comunicare quando aveva necessità di riposare. Durante le visite nel suo studio le spruzzava l’acqua in faccia per suscitare una reazione. Lei voleva scappare». Incalza il pm Caria: «E suo padre, che è anche stato sottoposto a misura cautelare, come giustificava tutto questo?». La risposta laconica della testimone: «Era Dore a dirgli che doveva comportarsi in modo duro, che non doveva essere un cioccolatino». Poi l’amaro epilogo: «Dopo quei fatti e l’intervento dei carabinieri, mia mamma fu ricoverata. Non si riprese mai più».
 

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