La Nuova Sardegna

Sassari

La fuga dei giovani sardi: 2700 nell’ultimo anno

di Alessandro Pirina
La fuga dei giovani sardi: 2700 nell’ultimo anno

Ma per la prima volta dal 2008 l’emigrazione rallenta: meno 10 per cento

12 novembre 2018
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SASSARI. I ragazzi con la valigia sono ancora troppi, oltre 2.700 sardi hanno lasciato l’isola nel 2017 per andare a cercare lavoro oltre confine, ma per la prima volta dopo anni la nuova ondata di emigrazione conosce una frenata. Perlomeno per quanto riguarda la Sardegna. Il dato nazionale, infatti, parla di oltre 4mila italiani in più rispetto al 2016 che hanno lasciato il Paese. Un numero figlio soprattutto del boom degli espatri di cittadini pugliesi, emiliani e liguri, dove l’aumento ha superato il 60 per cento. La Sardegna, invece, è in controtendenza. Secondo il Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei, sono 2.706 i sardi che hanno deciso di trasferirsi fuori dai confini, 1.476 uomini e 1.230 donne. In tutto 245 in meno rispetto all’anno scorso, quando i nuovi espatri sfiorarono le 3mila unità. Un piccolo segnale di ottimismo che arriva dopo anni di trend negativo. Basta fare il conto di quanti sono oggi i sardi registrati all’Aire - anagrafe degli italiani all’estero - e quanti erano nel 2007: 117mila a 93mila. Insomma, in 10 anni la Sardegna ha perso 24mila residenti.

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L’assessore. Filippo Spanu non festeggia, meglio rimandare a quando la frenata assumerà dimensioni più rilevanti. «Prima di affermare che il fenomeno sta andando da un’altra parte serve una serie storica – dice il titolare degli Affari generali –. Possiamo dire che siamo davanti solo a un piccolo indizio che fa ben sperare per il futuro». Spanu parla di una Sardegna ancora alle prese con il problema disoccupazione, ma descrive uno scenario diverso, più ottimistico, rispetto al recente passato. «Registriamo segnali di miglioramento sia dal punto di vista della disoccupazione giovanile, ancora troppo alta ma diminuita di 10 punti, che dell’aumento dei posti di lavoro. Non siamo ancora ai livelli del 2008 ma ci stiamo avvicinando. E sono in crescita anche le persone che cercano lavoro, il che significa che c’è meno sfiducia».

Destinazioni. La maggior parte scelgono la Germania, dove oggi risiedono più di 32mila isolani. Al secondo posto la Francia, a quota 24mila. Segue il Belgio con 13mila sardi iscritti all’Aire. Solo quarto il Regno Unito, la seconda “terra promessa” degli italiani, a quota 9mila, qualche centinaio in più dei sardi residenti in Svizzera. Fuori dai confini europei è l’Argentina il Paese con più isolani, quasi 4mila, seguita dagli Stati Uniti, poco più di 2mila, e dal Brasile.

Chi parte. A lasciare il Paese sono soprattutto i giovani, circa il 37 per cento, e i giovani adulti, intorno al 25, ma a registrare l’aumento più consistente in termini percentuali sono gli over 50. Un dato nazionale che può essere adattato anche alla Sardegna. «Anche nell’isola c’è un nuovo flusso di persone 50enni e oltre, ma i numeri sono abbastanza bassi – conferma l’assessore –. L’emigrazione riguarda in particolare i giovani, e soprattutto quelli con un livello di istruzione medio alto. Un fenomeno legato a quella “disoccupazione intellettuale” che ci preoccupa non poco. E che stiamo cercando di combattere attraverso due tipi di azioni. Da un lato, diamo maggiori possibilità ai giovani che non hanno grandi possibilità economico finanziarie, sia aumentando il numero delle borse di studio che la cifra stanziata, tanto che oggi chiunque abbia i requisiti riceve la borsa di studio. Dall’altro, chiediamo alle università di Sassari e Cagliari di aumentare le opportunità di istruzione superiore tramite corsi di laurea specialistica e master. Questo è fondamentale per fare sì che i giovani sardi restino nell’isola. Noi abbiamo un’ottima base di lauree triennali, più difficoltà sulle specialistiche. E questo è un problema, perché una volta che uno studente va fuori non è facilissimo che torni in Sardegna».

Chi torna. Delineare un identikit di chi fa la valigia per tornare a casa è più difficile. «Sono ancora troppo pochi – dice Spanu –. Dobbiamo essere noi ancora più capaci a riuscire a intercettarli. Credo che la nuova fase di reclutamento negli enti regionali e in quelli locali vada in questa direzione. Dopo 10 anni è stato finalmente liberalizzato il turn over: oggi abbiamo bisogno di qualità. Solo alla Regione ci saranno nuove 400 figure professionali di livello medio alto».

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