La Nuova Sardegna

Sassari

Carcere: Bancali dimenticato senz’acqua, luce e contatti col mondo

Giovanni Bua
Carcere: Bancali dimenticato senz’acqua, luce e contatti col mondo

Mario Dossoni garante dei detenuti racconta i suoi tre anni in prima linea: «Abbiamo fatto tanto, ma serve l’aiuto della comunità»

10 novembre 2019
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SASSARI. Acqua che cola dai tetti ogni volta che piove, con i temporali che spesso fanno saltare la corrente elettrica. E sgorga non potabile dai rubinetti e fredda dalle docce. Sciacquoni dei water nelle celle vuoti da mesi, muffa e infiltrazioni nei muri. Problemi nell’area educativa, che non funziona, ma anche per fare una semplice telefonata a parenti o legali. Mensa, anche della polizia penitenziaria, sporca, con cibi di qualità e quantità inadeguata. Pochi agenti, spesso male impiegati, nonostante la presenza di 85 superboss in 41-bis e 20 sospetti terroristi in regime di alta sicurezza. Pochissimi mediatori culturali, che nulla possono fare per risolvere i problemi di interazione con le 27 etnie presenti. Una città che ogni tanto bussa al portone blindato tra incontri con le scuole, film festival, visioni solidali e candeliere dei reclusi. Ma che per di più si dimentica di una parte di sè (la maggior parte dei presenti sono sassaresi), chiusa tra quattro mura lontane, che non riesce a parlare con famiglie e avvocati, ad avere accesso alle cure sanitarie, a imparare un lavoro, a ripartire.

Saluta con sollievo e dolore Mario Dossoni, garante dei detenuti del Comune di Sassari dal gennaio 2016, che martedì ha aperto la seduta del consiglio comunale che ne ha sancito la sostituzione con una rapida quanto efficace fotografia di quello che oggi è il carcere di Bancali. Operativo dal luglio 2013 per sostituire l'ottocentesco carcere cittadino di San Sebastiano, a ragione considerato uno dei peggiori d'Italia, dopo una laboriosa progettazione e costruzione, calibrata su misura per farlo diventare uno dei super carceri dedicati alla detenzione dei boss della criminalità organizzata, e nonostante questo già in piena decadenza, strutturale e “sociale”.

«A Bancali ci sono 470 detenuti – ha raccontato martedì in aula – divisi in quattro regimi. Ci sono 290 comuni, per la gran parte sassaresi, i reclusi in alta sicurezza, i “protetti” perché autori di crimini sessuali o facenti parte delle forze dell’ordine, gli 85 in 41bis, 13 in semilibertà e 12 donne. Gli stranieri sono il 36 per cento, un terzo sono tossicodipendenti o spacciatori, molti di solo hanno problemi di salute mentale».

Un quadro difficile da gestire che si scontra con una situazione logistica e ambientale sempre più pesante. «Il lavoro del garante è in gran parte questo, raccogliere i problemi, piccoli e grandi, e attivarsi per trovare soluzioni. E il problema più grande è il rapporto con l’esterno, la cui mancanza pesa più delle pur importanti carenze dentro il carcere». E proprio per questo la presenza del garante, insieme al piccolo nucleo di volontari Caritas, ai dentisti della casa della Fraterna solidarietà, alle associazioni che mettono in piedi laboratori di teatro, sartoria, pittura, musica e falegnameria, alle scuole che organizzano (come il Pellegrini) percorsi di qualificazione professionale, o (come il De Villa) veri e propri corsi di istruzione superiore, sono boccate di ossigeno per n mondo in costante apnea. «Abbiamo fatto tanto – ha chiuso Dossoni – o perlomeno abbiamo fatto il possibile. Grazie all’aiuto delle istituzioni, della direzione, della polizia penitenziaria, dei detenuti. Che finiscono per essere tutti vittime dello stesso sistema. Io lascio il mio incarico con dolore, perché mi ha enormemente arricchito, ma anche con serena convinzione, perché richiede un’energia e una dedizione che qualcun altro avrà più di me. Resto convinto che il garante debba essere affiancato da figure operative che si occupino delle tante problematiche che ha una struttura complessa come Bancali. E che carcere e città debbano riprendere a comunicare, a interscambiare, a costruire insieme un presente e un futuro migliore».

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