La Nuova Sardegna

Sassari

Alessia, la storia di una madre forte e sfortunata

di Luigi Soriga
Alessia, la storia di una madre forte e sfortunata

Famiglia slava, origini rom, l’integrazione, la casa in affitto Domani il figlio compie 4 anni: «Mamma è dovuta partire» 

29 dicembre 2019
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SASSARI. Oggi sarà un compleanno molto triste. Gli zii hanno provato a consegnargli una verità meno dolorosa, gli hanno tolto le spine con le parole più dolci che potevano, per un attimo hanno indossato il sorriso e gli hanno detto questo: «Mamma è dovuta partire per un lungo viaggio. E purtroppo non potrà tornare presto».

I panni da stendere, lei che si sporge sulla finestra al secondo piano, sale su una cassapanca, si allunga fino al filo più lontano, si sbilancia, perde l’equilibrio e precipita sul selciato di vicolo Marini, sbatte la testa e non ha scampo. Questi sono dettagli che riguardano il mondo dei grandi: la polizia municipale che svolge le indagini, il pm Porcheddu che ha disposto l’esame sul cadavere, il medico legale Serra che la eseguirà domani mattina. Un lungo viaggio (purtroppo senza ritorno), rende tutto più semplice e meno lancinante. Perché a quattro anni azzardi qualche domanda, ma ti accontenti di quel che ti dicono i grandi. Hai fiducia. Senti solo una mancanza che non ti spieghi, e che diventerà sempre più grande.

Con la mamma erano una cosa sola. Genitore e figlio, amici, sangue del sangue, e compagni di giochi. Passerà un po’ di tempo, il piccolo sarà in grado di capire, e allora il nonno o uno degli zii racconterà al nipotino la storia di Alessia Milanovic, la mamma di 25 anni più sfortunata del mondo.

Di nome faceva Jaclina, ma non andava così fiera delle sue origini rom. Era nata e vissuta a Sassari, e per gli amici aveva scelto un nome italiano, Alessia. La sua era una famiglia di nomadi, e il padre era arrivato in Sardegna trentacinque anni fa. Aveva sette figli da sfamare, e li ha dovuti tirare su da solo, perché la moglie a un certo punto è andata via. Dice Alessandro Milanovic, lo zio di Alessia: «La sua non è stata certo un’infanzia facile. Vissuta sin da piccola senza la mamma. Ma nonostante questo lei è cresciuta con un bel carattere, allegra e solare. Una ragazza buona, che adorava il figlio, con un grande senso della famiglia, alla quale era facile voler bene». E ora, anche per il figlio, il destino non fa sconti e prende la stessa piega.

Alessia e la famiglia per diversi anni hanno abitato nel campo rom di Porto Torres. Ma tutti erano perfettamente integrati, nati e cresciuti in questa fettina mondo, della quale si sentono parte.

«Poi, poco alla volta – prosegue Alessandro – ognuno si ha fatto una propria vita, sposandosi anche con sassaresi, e vivendo per conto proprio in una casa».

Anche Alessia, a un certo punto, aveva fatto questa scelta di indipendenza. Aveva rotto il cordone ombelicale con la famiglia e aveva provato a vivere col proprio fidanzato. È nato un bambino, ma è l’unica cosa bella che questa relazione è riuscita a partorire. È durata poco, ognuno per i propri lidi, con quella risacca di malumori e strascichi giudiziari per l’affidamento del bimbo.

Per Alessia la maternità era la cosa migliore che le fosse mai capitata. La prima frase che si legge nella sua pagina Facebook è questa: «Amore di mamma, sei tutta la mia vita».

Aveva affittato un appartamento al centro storico, in vicolo Marini, con grandi sacrifici. Faceva lavoretti saltuari, ogni tanto si improvvisava baby sitter dando una mano anche alla sorella, prendendosi cura dei nipotini. Quell’alloggio tutto suo per lei doveva essere una fortezza inespugnabile, il baluardo di una stabilità familiare. In modo da rassicurare gli assistenti sociali e il giudice sull’affidamento del bimbo. Mai avrebbe pensato che il prezzo da pagare per quella casa, tanto desiderata, sarebbe stato così terribilmente salato.

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