La Nuova Sardegna

Sassari

Sposati da settantasei anni «Basta poco per essere felici»

di Giovanni Bua
Sposati da settantasei anni «Basta poco per essere felici»

Francesco e Caterina festeggiano a Ossi il loro matrimonio da record con figli, nipoti e pronipoti «Abbiamo faticato, lavorato, risparmiato tanto. E ci vogliamo ancora bene come il primo giorno»

07 gennaio 2020
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OSSI. «La mattina in cui ci siamo sposati nevicava. Io avevo degli zoccoli, fatti usando la borsa di pelle di una vicina, e il pezzo di sopra dell’abito me lo aveva prestato mia suocera. Lui aveva lo stesso completo che si era fatto cucire dal sarto il giorno in cui ci eravamo fidanzati, un anno e mezzo prima. Era il 6 gennaio del 1944, la guerra, la terribile carestia del ’43 appena passata. Non avevamo niente, nessuno aveva niente. Ma è stata una giornata grandiosa. E tutto il paese ha mangiato e bevuto al nostro pranzo, un pranzo di quelli come si usa ora, con ottanta chili di pasta, agnelli e porcetti e cinquanta chili di amaretti». Non tentenna la voce di Caterina Canu, splendida 95enne, e nemmeno i suoi ricordi, vividi come se quel giorno di 76 anni fa fosse ieri. «Sono un po’ sorda, ma la testa cammina ancora», scherza, circondata dalla banda di figli, nipoti e pronipoti arrivati a festeggiarla. E, mentre riprende il racconto, allunga appena la mano, e tocca quella di Francesco Serra, il suo Francesco, un secolo appena compiuto e più di tre quarti della sua vita passati vicino a lei.

Ieri hanno celebrato un anniversario da record. Battuti nell’Isola solo da una coppia di Mamoiada, che di anni di matrimonio qualche giorno fa ne ha festeggiati 77. «Ho letto di una coppia in India – scherza uno dei figli – insieme da 90 anni, ma magari si sono sposati che ne avevano 5. Quella di mio padre e mia madre è una storia vera, viva, vissuta giorno per giorno. E ancora oggi sono qui insieme, magari discutono un po’, ma, forse proprio per quello, si vogliono bene come il primo giorno».

Eppure Francesco la bella Caterina l’ha dovuta conquistare. «Avevo più di un pretendente che mi girava intorno – ricorda lei sotto gli occhi divertiti dei due figli e della figlia, insieme a lei nella sala da pranzo della sua casetta nel cuore antico di Ossi –. Ma Francesco mi aveva messo gli occhi addosso. E aveva mandato suo zio a fare da ambasciatore, e chiedere il permesso a mio padre e mia sorella di frequentarmi. Allora si usava così. Io non lo conoscevo, ma ho visto che i miei erano felici, era una persona stimata, un lavoratore, di buona famiglia. Vederli sereni mi ha convinto, e ho accettato di fidanzarmi con lui. E devo dire che è andata bene».

«Che cannonata che eri», le fa eco Francesco. Lui era orfano di padre, e lavorava la sua terra per mantenere la famiglia. E questo lo aveva salvato dalla guerra, trascorsa in paese, aiutando tante persone con il suo grano, che in quei tempi valeva più dell’oro. «Aveva dei risparmi – riprende Caterina – e, fin da fidanzata, mi ha fatto padrona. Mi ha dato tutto, e così ha sempre fatto per tutti questi anni. Ogni soldo risparmiato, lo dava a me. E io li usavo per la casa, per i figli e i nipoti. Hanno tutti studiato, non come noi che siamo persone semplici. E sono la nostra gioia».

Persone semplici che sul lavoro, il sacrificio e l’amore, hanno costruito una vita lunga, solida, felice. «Forse è difficile da capire per una coppia di adesso – spiega Caterina –. Fidanzarsi senza conoscersi, lavorare fino a spaccarsi la schiena, ogni giorno. Risparmiare ogni centesimo. Eppure per noi era normale, e dentro questa normalità abbiamo costruito la nostra felicità. Quando ci siamo sposati la madre di Francesco gli ha messo come regalo 500 lire in ogni scarpa. Era una cifra importante, e noi li abbiamo conservati per il futuro. Alla fine non li abbiamo mai spesi, e ora quei soldi sono uno dei nostri ricordi più cari».

Francesco guarda la sua bella Caterina, lei parla, ricorda, scherza col nipote (il medico legale Francesco Serra) e gli rinfaccia di quella volta che non voleva mettersi i pantaloni lunghi d’inverno e lo dovette sculacciare. Si lamenta di non avere imparato a usare il cellulare. «Devo aspettare i miei figli per videochiamare la mia ultima pronipote, ha un anno. Ci fa girare la testa». Racconta del marito che ogni sera guarda Amadeus: «E si arrabbia quando sbagliano le risposte». Dopo una vita di lavoro si riposa un po’, ma non è contento di non avere più la patente. «L’ho presa a 50 anni – borbotta lui – prima usavo il cavallo, o il carretto. E, a 85 anni, me l’hanno tolta. Ma io andavo ancora a lavoro. E anche ora che ho 100 anni ogni giorno cammino su e giù per la casa per almeno mezz’ora. E d’estate vado anche in piazza». Questa volta è lei ad ascoltare, e ad allungare leggera la mano. E questo scambio di carezze, di occhiate, di parole e silenzi, sono lo spartito su cui per tre quarti di secolo è andato avanti questo matrimonio. Fatto di fatica, fiducia, famiglia. «L’ho fatta vivere come una regina», dice Francesco. «È vero – concede lei sorniona –. Ho fatto proprio bene a non scegliere quell’altro».

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