La Nuova Sardegna

Sassari

Sassari invasa: «Il volo dei nostri falchi per scacciare gli storni»

di Giovanni Bua
Un falco pellegrino in volo su uno stormo di storni
Un falco pellegrino in volo su uno stormo di storni

Nando Muzzu, carabiniere e amante dei rapaci. Nell’Isola esiste una legge sul Bird Control: «Sassari deve rivolgersi ai falconieri»

30 gennaio 2020
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SASSARI. Cannoncini a salve e sirene a tutto volume? Potatura selvaggia degli alberi e dissuasori sonori con versi di uccelli morenti? Tutto inutile. L’unico modo per rallentare l’innaturale invasione di storni che sta mettendo in ginocchio il Sassarese è rivolgersi alla natura stessa, mettendo in volo i predatori del piccolo e baldanzoso passeriforme: i rapaci.

Parole di uno che se ne intende, maresciallo dei carabinieri a Porto Torres ma soprattutto ex presidente della onlus Rapaci Capaci, che tra il 2016 e il 2017 ha partecipato attivamente alla promozione dell’antica arte della falconeria nell’Isola. Un ruolo “in prima linea” che Nando Muzzu ha dovuto lasciare per i troppi impegni nell’Arma, ma una passione che rimane viva più che mai. «Insieme al meraviglioso gruppo dei falconieri della Sardegna – racconta – siamo riusciti a far approvare nel luglio del 2018 una legge che, unica in Italia, regolamenta il settore e la pratica del Bird Control, la gestione dei volatili invasivi grazie alla Falconeria. Siamo partiti da un convegno a Oristano, si parlava di come intervenire per tutelare le risaie dai fenicotteri rosa, che posandosi le distruggevano creando gravi danni. Non era mai stato fatto, ma con i nostri falchi abbiamo fatto cambiare abitudine ai fenicotteri, chiaramente senza ucciderne nemmeno uno. E poi alle cornacchie, che beccavano e distruggevano meloni e angurie. E fatto capire alle istituzioni che quella era la via da seguire».

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Grazie alla legge si è creato un albo regionale, di cui attualmente fanno parte quattro falconieri: la sassarese Monica Aru, il leggendario slovacco Martin Strunga, unico diplomato in falconeria in Italia, con base a Guspini, e Andrea e Fabio Ortu, padre e figlio di San Gavino Monreale. «Martin ha i miei due falchi, Asterix e Obelix, che gli ho riconsegnato quando ho dovuto chiudere la onlus – racconta Nando – vivevano con me, insieme a una civetta. Uscivamo insieme ogni giorno, per volare. Un’emozione enorme».

E proprio le possenti ali, l’incredibile vista, i forti artigli dei falchi, delle civette, delle aquile e dei barbagianni, sono l’unica vera via possibile per gestire l’invasione degli storni, che per Muzzu sono una vera emergenza. «Solo a Sassari – spiega – sono almeno 100mila. Ma i numeri sono in costante aumento, come i tempi di permanenza. Il problema è che gli stormi migrano dal nord Europa, e restano qui finché la temperatura non scende, e solo allora si muovono verso l’Africa. Se l’inverno è mite, come sempre più spesso accade, non si muovono fino alla primavera. E arrivano in Sardegna da tutta Europa».

Il punto è che gli uccelli, dopo aver passato le giornate in campagna, preferiscono dormire al caldo, in città. «Sono più protetti dai predatori, e la temperatura è più alta di 5 o 6 gradi. Il problema è che si assiepano a centinaia in ogni albero. E il loro guano è acido, corrosivo, pericoloso». Un pericolo che va oltre il brutto odore o le auto “macchiate”. «Quando si secca si polverizza – continua Muzzu – e inquina. Quando si scioglie invece è scivoloso. Corrode circuiti e macchinari. Per breve tempo, e con numeri bassi, la situazione è sostenibile. Oltre 100mila storni per quattro mesi non più».

La soluzione? «Il gruppo dei falconieri lavora già in tutta l’Isola. Monica Aru ad esempio è riuscita con i suoi falchi a far cambiare abitudini a 500mila storni che stavano facendo grossi danni alla Saras. Gli Ortu lavorano a Fiumesanto. E tra i clienti dei faconieri c’è ad esempio il caseificio Pinna, l’ospedale di Sassari, che aveva un problema con gli storni che stazionavano su un gruppo di condizionatori. Ma anche molti Comuni, anche nel Sassarese, che sono stati liberati da piccioni, cornacchie e storni. Il lavoro è delicato e faticoso, perché il falco del falconiere in realtà non attacca, ma vola per ore in “modalità caccia”, spaventando gli uccelli. Poi va a nutrirsi dal suo falconiere, e riprende il volo, coprendo aree di chilometri. L’ambiente cittadino non è tra i più semplici, ma si può fare. E anzi penso che una città come Sassari debba farlo».

Per rispondere a una natura impazzita serve altra natura insomma. E un’arte antica quanto il mondo che potrebbe tornare di assoluta attualità. «C’è un progetto in corso per insegnare la falconeria alla Crucca. Purtroppo, per il lavoro che faccio, conosco bene molti di quei ragazzi, e con la “ergo terapia” li mettiamo in contatto con un mondo meraviglioso, e gli insegniamo anche un lavoro». Un mondo che ha stregato Nando nel 2015: «Mio padre prima di morire mi ha detto che sarebbe stato bello avere di nuovo un falchetto, come quando era bambino. Dopo qualche anno ci ho pensato, ho provato. È stato un viaggio senza ritorno. E ancora oggi, quando esco con un Harris o un Pellegrino, e li vedo salire in cima al cielo, tutto sembra perfetto. E il mio cuore vola insieme a loro».

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