La Nuova Sardegna

Sassari

Tziu Billia Cherchi e la rinascita del Cagnulari

di Pasquale Porcu
Billia Cherchi
Billia Cherchi

Usini, da vino comune nei "vindioli" a prodotto di eccellenza: una storia di testardaggine nata sulle colline del paese

02 febbraio 2020
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USINI. Era il vino comune quotidiano, quello che gli ortolani sassaresi bevevano a casa o in campagna. Quello che si trovava nei “vindioli”, le bettole le osterie di Sassari, contrassegnate da una frasca esposta all'ingresso del locale. Stiamo parlando del Cagnulari. Uno dei vini di moda un po' ovunque, in Sardegna e non solo. Il guru americano dell'enologia, Robert Parker, già qualche anno fa lo indicò come vino di tendenza tra i vini del Mediterraneo.

Ma quando è scoppiata la moda? Chi è stato il protagonista di questa rinascita? «È un vino che ho sempre conosciuto_ racconta Billia Cherchi di Usini, autore della riscoperta del Cagnulari_. I miei genitori avevano una mescita nel centro storico di Sassari. E già allora il vino di Usini veniva celebrato da una canzoncina che diceva “Indè Sannia già vvinnè di vinu bonu”. Questo a dimostrazione del fatto che i vini non erano tutti uguali. Alcuni erano più apprezzati di altri e tra questi sicuramente c'era il Cagnulari».

Dopo un periodo di oblio, l'azienda di Billia Cherchi ha ripreso a produrre vino in maniera più organizzata nei primi anni Settanta: Vermentino, Cannonau e Cagnulari, ma quest'ultimo non era in purezza. Spesso, racconta Salvatore Cherchi, figlio di Billia, le uve rosse si vendemmiavano tutte insieme: Cagnulari, Pascale di Cagliari e Cannonau. Per arrivare a vinificare Cagnulari in purezza bisogna attendere gli anni Ottanta. Nel 1982 Cherchi produce e imbottiglia il primo Cagnulari in purezza. Il vino piace, i consumatori cominciano a superare la diffidenza per un vino a prima vista difficile. Ma chi lo beve comincia ad amarlo molto e lo preferisce al più consueto Cannonau.

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«Il primo a credere fortemente nel Cagnulari è stato Cherchi_ dice l'enologo Giampaolo Parpinello, consulente dell'azienda di Usini negli anni Ottanta_: Billia si è battuto come un leone per valorizzare questo vino. Era convinto, a ragione, che quella era la strada per dare una svolta all'enologia di Usini: Cagnulari e Vermentino». L'esempio di Billia è stato seguito da altri viticultori di Usini: Francesco Fiori, Giorgino Careddu di Carpante, Giovanna Chessa, Giovanni (Tanarighe) e Salvatore Chessa. E via via tutti gli altri, da Galavera a Sandro Panzali.

I terreni dei vigneti usinesi erano particolarmente vocati e la qualità del vino prodotto nel paese è stato sempre di buona, se non eccellente, qualità. Altri, intanto, nei paesi vicini hanno cominciato a produrre con buoni risultati. Il vitigno è iscritto nel Registro nazionale delle varietà di vite (D.M. 25/5/1970)e nell’Elenco delle varietà raccomandate in provincia di Cagliari, Oristano e Sassari con i sinonimi di Bastardo nero, Cagliunari e Caldareddu.

La prima citazione del vitigno, riferisce una ricerca targata Convisar, coordinata dal professor Gianni Nieddu dell'università di Sassari, è «dell’ampelografo Giuseppe Di Rovasenda nel1877, che lo indica assimilabile al Morastel, mentre la descrizione del vitigno compare in quegli stessi anni nel Bollettino ampelografico nazionale, nel capitolo dedicato alle uve di Sardegna coltivate in provincia di Sassari. Il vitignoviene indicato come importante ed in espansione in questo territorio, in quanto utilizzato per la sostituzione della diffusa varietà locale chiamata Bastardo nero».

La coltivazione in Sardegna, di oltre 1800 ettari nel 1963 (Nieddu, 2004), si è ridotta nel 2009 a 266, dei quali 239 in provincia di Sassari. È presente nelle collezioni nazionali francesi dell’Inra di Montpellier e italiane del Cra di Conegliano Veneto e in quelle regionali della Sardegna gestite dall’Università di Sassari (Oristano) e dall’Agenzia regionale Agris (Villasor).

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