Il padre di Stefano Masala: «Parla, è l’ultima occasione»
di Nadia Cossu
La richiesta all’imputato Cubeddu condannato all’ergastolo in primo grado Ieri via al processo in corte d’assise d’appello. Il dolore dei familiari delle vittime
29 febbraio 2020
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SASSARI. «È la sua ultima occasione. Se parla adesso, se dice ciò che sa, potrebbe ottenere uno sconto di pena. Se continuerà a tacere, il carcere per lui sarà a vita». A parlare è Marco Masala, il padre di Stefano, scomparso nel nulla da ormai 5 anni. Ha gli occhi velati di lacrime mentre si prepara ad assistere al processo d’appello per l’imputato Alberto Cubeddu, condannato in primo grado all’ergastolo per gli omicidi di Stefano Masala e Gianluca Monni.
Li separano poche sedie, la distanza è davvero minima e nei loro volti il dolore è palpabile. Sono cinque genitori che, per motivi decisamente diversi, stanno vivendo un’enorme sofferenza. Hanno perso un figlio, Rita Gaddeo e Salvatore Monni. Non ha visto più tornare a casa Stefano, suo padre Marco. E poi ci sono la madre e il padre di Alberto Cubeddu, che un figlio invece ce l’hanno ancora ma possono guardarlo e parlargli solo attraverso le sbarre.
Quello che, prima di ogni altra cosa, colpisce entrando nell’aula della corte d’assise d’appello – dove ieri si è aperto il processo di secondo grado – è la vicinanza fisica tra i familiari di tutti i protagonisti – vittime e carnefici – di una delle più dolorose pagine di cronaca degli ultimi anni in Sardegna.
Sul banco degli impuati c’è il 23enne di Ozieri che in primo grado è stato condannato all’ergastolo per quegli omicidi. I suoi avvocati difensori Mattia Doneddu e Patrizio Rovelli hanno impugnato la sentenza della corte d’assise di Nuoro e ora sperano di ottenere la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale davanti alla corte d’assise d’appello presieduta da Plinia Azzena (a latere il giudice Carmela Rita Serra). Ieri mattina è spettato a loro aprire il processo con la lettura della relazione che contiene l’esposizione del fatto, le motivazioni del verdetto di primo grado e l’atto d’appello. Sei ore (l’udienza è cominciata alle 9 e si è conclusa alle 15) per riassumere gli aspetti più importanti di una tragedia che per la giustizia ha già un suo primo colpevole: Paolo Enrico Pinna, cugino di Alberto, condannato in via definitiva a 20 anni di carcere (all’epoca dei fatti era minorenne).
In questo processo compare nelle vesti di imputato anche Francesco Pinna, zio di Paolo Enrico, condannato a due anni in primo grado per induzione (nei confronti di un testimone chiave) a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci alla magistratura. L’appello è stato presentato dal suo avvocato e Agostinangelo Marras. In aula anche tutte le parti civili rappresentate dagli avvocati Caterina Zoroddu, Antonello Cao, Rinaldo Lai, Margherita Baragliu, Angelo Magliocchetti.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Li separano poche sedie, la distanza è davvero minima e nei loro volti il dolore è palpabile. Sono cinque genitori che, per motivi decisamente diversi, stanno vivendo un’enorme sofferenza. Hanno perso un figlio, Rita Gaddeo e Salvatore Monni. Non ha visto più tornare a casa Stefano, suo padre Marco. E poi ci sono la madre e il padre di Alberto Cubeddu, che un figlio invece ce l’hanno ancora ma possono guardarlo e parlargli solo attraverso le sbarre.
Quello che, prima di ogni altra cosa, colpisce entrando nell’aula della corte d’assise d’appello – dove ieri si è aperto il processo di secondo grado – è la vicinanza fisica tra i familiari di tutti i protagonisti – vittime e carnefici – di una delle più dolorose pagine di cronaca degli ultimi anni in Sardegna.
Sul banco degli impuati c’è il 23enne di Ozieri che in primo grado è stato condannato all’ergastolo per quegli omicidi. I suoi avvocati difensori Mattia Doneddu e Patrizio Rovelli hanno impugnato la sentenza della corte d’assise di Nuoro e ora sperano di ottenere la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale davanti alla corte d’assise d’appello presieduta da Plinia Azzena (a latere il giudice Carmela Rita Serra). Ieri mattina è spettato a loro aprire il processo con la lettura della relazione che contiene l’esposizione del fatto, le motivazioni del verdetto di primo grado e l’atto d’appello. Sei ore (l’udienza è cominciata alle 9 e si è conclusa alle 15) per riassumere gli aspetti più importanti di una tragedia che per la giustizia ha già un suo primo colpevole: Paolo Enrico Pinna, cugino di Alberto, condannato in via definitiva a 20 anni di carcere (all’epoca dei fatti era minorenne).
In questo processo compare nelle vesti di imputato anche Francesco Pinna, zio di Paolo Enrico, condannato a due anni in primo grado per induzione (nei confronti di un testimone chiave) a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci alla magistratura. L’appello è stato presentato dal suo avvocato e Agostinangelo Marras. In aula anche tutte le parti civili rappresentate dagli avvocati Caterina Zoroddu, Antonello Cao, Rinaldo Lai, Margherita Baragliu, Angelo Magliocchetti.
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