La Nuova Sardegna

Sassari

Schianto in moto, muore 30enne

di Luigi Soriga
Schianto in moto, muore 30enne

A bordo di una Yamaha R6 ha tamponato a 200 all’ora un’auto, grave l’amico che viaggiava con lui

08 marzo 2020
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PORTO TORRES. La camionale, alle 19.30 , è una lastra d’asfalto scurissima. I bagliori blu dell’ambulanza si assottigliano, inghiottiti dal buio pesto. A bordo del mezzo del 118 c’è Alessandro Derudas, portotorrese, trent’anni. È ancora cosciente, non sa che la sua è una corsa per restare aggrappato alla vita.

Invece Giovanni Sau, 30 anni, portotorrese, dipendente della Sidernet, è rimasto adagiato sull’asfalto. I lampi delle sirene si riflettono sul lenzuolo argentato. Spuntano i piedi scalzi, e una mano. Intorno a lui frammenti di plastica, una scarpa Adidas, un’altra scarpa Nike, un pezzo di sella, un giubbotto a brandelli, e tutti quei piccoli tasselli di un mosaico di morte che racconta cosa è accaduto 30 minuti prima.

Una coppia di Porto Torres viaggia su una Peugeot, ha appena imboccato la camionale, va verso Sassari. La lancetta del tachimetro segna i 60 all’ora, c’è un buio pesto. Il conducente sente una rasoiata sonora che lo investe, l’urlo improvviso di un’accelerazione. Alza gli occhi sullo specchietto: «Ho visto un lampo di luce venirmi addosso, poi ho sentito una botta tremenda». La sua compagna, seduta a fianco, si volta di scatto. Fa in tempo a scorgere due sagome volare, non capisce cosa sia accaduto: «Mi è sembrata una persona, o forse una moto». La macchina sbanda, una ruota è esplosa, si arresta solo dopo 50 metri. Scendono entrambi. Fanno qualche passo e tutto diventa chiaro. Vedono un corpo disteso per terra, è immobile. È Alessandro Derudas. Intorno ci sono i frammenti di una moto, un faro, un pezzo di serbatoio, un brandello di una sella, un casco jet con la bandiera americana semiabrasa dalla strisciata. Chiazze di sangue. Lei tocca il ragazzo. Lui apre gli occhi. «Mi fa male il braccio – mi ha detto – non la guidavo io la moto. Non riesco a muovermi. E ora chi mi aiuta?». «Non ti preoccupare, gli ho risposto, ti aiutiamo tutti. Sta arrivando l’ambulanza. La verità è che non sapevo che dirgli, volevo tranquillizzarlo. Ma era una maschera di sangue, io ero sotto choc, si vedeva che era grave. Lui però non si rendeva conto delle sue condizioni».

Arriva l’equipe del 118, i medici lo caricano in ambulanza, è ancora cosciente. Entrerà al pronto soccorso in codice rosso, con ferite su tutto il corpo e un trauma facciale devastante. Ora è intubato in rianimazione e lotta tra la vita e la morte.

Della moto non c’è traccia. Invece 60 metri più avanti, c’è un altro corpo.

È quello di Giovanni Sau. È morto sul colpo, dopo aver strisciato sull’asfalto per diversi metri e aver impattato sul guardrail. L’urto gli ha fatto volare via il casco integrare Shark, che è rotolato oltre la cunetta. Anche la moto ha scavalcato le barriere stradali ed è schizzata di lato. I vigili del fuoco e i carabinieri di Porto Torres la cercano con le torce. Illuminano una scocca rossa, è una Yamaha R6. Un bolide da 120 cavalli e una velocità massima di 260 chilometri orari. È piombata sull’auto come un proiettile impazzito e l’ha colpita sul parafango posteriore destro. I segni sulla carrozzeria, il pneumatico esploso, il paraurti dilaniato, fanno intuire la potenza dell’impatto. «Non so come possa essere possibile – dice il conducente della Peugeot – forse la velocità elevata, ma penso che non mi abbiano proprio visto». I carabinieri abbozzano sull’asfalto le traiettorie, annotano distanze. Non c’è un segno marcato di frenata, l’ostacolo si deve essere materializzato troppo tardi. La Yamaha R6, con tutta probabilità, in quell’esatto istante superava i 200 chilometri orari.

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