Bancali, l’agente infedele ai domiciliari
Il poliziotto penitenziario ha risposto alle domande e ieri sera è tornato a casa
11 marzo 2020
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SASSARI. Ha risposto alle domande del giudice delle indagini preliminari Michele Contini e ha respinto con fermezza di aver portato sostanze stupefacenti all’interno del carcere di Bancali ma ammesso invece di aver introdotto all’interno dell’istituto di pena e consegnato a un detenuto un telefono cellulare.
Ha avuto un atteggiamento collaborativo ieri mattina durante l’interrogatorio di garanzia l’agente della polizia penitenziaria arrestato venerdì scorso dai suoi colleghi con l’accusa di corruzione aggravata. L’uomo, difeso dagli avvocati Paolo Spano e Ivan Cermelli, ha scelto di sottoporsi alle domande del gip e al termine dell’interrogatorio ha ottenuto gli arresti domiciliari. Ieri sera l’agente ha fatto rientro nella sua abitazione in cui rimarrà in attesa del processo.
L’uomo era finito in manette dopo un anno e più di indagini silenziose. Appostamenti, pedinamenti, intercettazioni che avevano portato gli uomini della polizia penitenziaria di Sassari, coordinati dal comandante Antonello Brancati con la supervisione della sede centrale e regionale del Nucleo investigativo centrale (Nic), a scoprire che a introdurre un telefono cellulare e un po’ di droga nelle celle era quello un agente della polizia penitenziaria.
A partire dal 31 dicembre del 2018, giorno in cui avevano trovato l’apparecchio telefonico durante una perquisizione straordinaria, era cominciata una delicata attività che aveva consentito di individuare il presunto responsabile. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip di Sassari era stata richiesta dal pubblico ministero Giovanni Porcheddu che ha coordinato l’inchiesta. Era stato il poliziotto penitenziario – era emerso durante le indagini – a consegnare, in cambio di 500 euro, il telefono a un detenuto. A un altro aveva invece ceduto sostanza stupefacente. Importante, ai fini del buon esito dell’operazione, è stato il supporto fornito dal Provveditorato regionale della Sardegna a entrambi i reparti di polizia penitenziaria. L’attività gestita sul campo dal comandante Brancati è stata molto complicata perché l’obiettivo primario era trovare il responsabile di quel reato così grave. Gli uomini dei reparti hanno curato ogni più piccolo dettaglio per tutelare al massimo la riservatezza dell’operazione. (l.f.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA.
Ha avuto un atteggiamento collaborativo ieri mattina durante l’interrogatorio di garanzia l’agente della polizia penitenziaria arrestato venerdì scorso dai suoi colleghi con l’accusa di corruzione aggravata. L’uomo, difeso dagli avvocati Paolo Spano e Ivan Cermelli, ha scelto di sottoporsi alle domande del gip e al termine dell’interrogatorio ha ottenuto gli arresti domiciliari. Ieri sera l’agente ha fatto rientro nella sua abitazione in cui rimarrà in attesa del processo.
L’uomo era finito in manette dopo un anno e più di indagini silenziose. Appostamenti, pedinamenti, intercettazioni che avevano portato gli uomini della polizia penitenziaria di Sassari, coordinati dal comandante Antonello Brancati con la supervisione della sede centrale e regionale del Nucleo investigativo centrale (Nic), a scoprire che a introdurre un telefono cellulare e un po’ di droga nelle celle era quello un agente della polizia penitenziaria.
A partire dal 31 dicembre del 2018, giorno in cui avevano trovato l’apparecchio telefonico durante una perquisizione straordinaria, era cominciata una delicata attività che aveva consentito di individuare il presunto responsabile. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip di Sassari era stata richiesta dal pubblico ministero Giovanni Porcheddu che ha coordinato l’inchiesta. Era stato il poliziotto penitenziario – era emerso durante le indagini – a consegnare, in cambio di 500 euro, il telefono a un detenuto. A un altro aveva invece ceduto sostanza stupefacente. Importante, ai fini del buon esito dell’operazione, è stato il supporto fornito dal Provveditorato regionale della Sardegna a entrambi i reparti di polizia penitenziaria. L’attività gestita sul campo dal comandante Brancati è stata molto complicata perché l’obiettivo primario era trovare il responsabile di quel reato così grave. Gli uomini dei reparti hanno curato ogni più piccolo dettaglio per tutelare al massimo la riservatezza dell’operazione. (l.f.)
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