Un balcone con vista sulla vita
di Andrea Sini
Bambini alla disperata ricerca di normalità fanno amicizia dal terrazzo tra letture e indovinelli
24 marzo 2020
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SASSARI. Le modalità di convocazione sono così semplici da riuscire ad aprire, da sole, una inattesa breccia spazio-temporale: nell’epoca in cui whatsapp si usa persino per comunicare da stanza a stanza, affacciarsi al balcone e chiamare a gran voce qualcuno è di per sé un ritorno all’antico. Ma questa è la storia di tre bambini del centro storico di Sassari al tempo del coronavirus, anche se potrebbe essere la storia di qualsiasi bambino di Sassari, Cagliari, Milano o Palermo.
La chiamata. Non esiste un appuntamento vero e proprio, ma Fabio, Anna e Linda sanno che a un certo punto della giornata sentiranno il loro nome strillato da uno degli altri due, là fuori. È il segnale, solo il tempo di chiedere l’autorizzazione a mamma e babbo e il momento più eccitante della giornata può cominciare: Linda, 5 anni e mezzo, domina tutti dal balcone di cucina al terzo piano; Fabio, 6 anni fatti da poco, compare sul ballatoio al secondo piano, sul lato di sinistro; Anna, 7 anni, tira fuori la testa dalla porta-finestra ed esce a sua volta sul balcone al secondo piano, proprio di fronte a Fabio. Indossano il giubbottino, come se dovessero andare a scuola, si armano di sedietta, bolle di sapone e fantasia, e animano per un paio d’ore le giornate, a loro stessi e a tutto il condominio.
Un vuoto da colmare. Fabio, Anna e Linda, che sino a due settimane fa si conoscevano a malapena, sono i vertici di un triangolo che ha al suo interno il vuoto: quello del cortile interno che divide tre palazzi, quello delle lunghissime giornate trascorse tra le mura di casa, a sfidare la noia e i nervi scoperti di genitori stanchi e preoccupati, a perdersi nell’affetto virtuale di lunghe videochiamate con i nonni, gli zii e i compagnetti della materna o di scuola. Tutto quello spazio, loro lo riempiono nella maniera più semplice e sorprendente: “fanno comunella”, come dicevano le maestre di una volta.
Giochi a distanza. Ogni giorno una trovata diversa, un modo gioioso per trascorrere il tempo insieme, anche se a dieci metri di distanza l’uno dall’altra: lunedì hanno letto le favole, martedì hanno fatto bolle di sapone e dato ognuno a modo suo un’interpretazione sul coronavirus; mercoledì le signorine hanno parlato di vestiti e di trucchi mentre Fabio sbuffava, giovedì hanno giocato a indovinare i colori, venerdì hanno coinvolto persino un’adulta, una ragazza del piano inferiore, e con lei si sono sfidati a raccontare favole inventate sul momento; sabato hanno litigato, domenica hanno fatto pace e hanno immaginato a voce alta di andare ai giardini pubblici e di mettersi a giocare.
Cercasi normalità. Travolti da un dramma che annienta gli adulti e uccide soprattutto gli anziani, i bambini sono in teoria quelli più al sicuro di tutti. Ma le piccole donne e i piccoli uomini di domani sono anche coloro che porteranno i segni più profondi di queste settimane nelle quali la vita è stata come sospesa. Come la piccola Rebecca, autrice della bellissima lettera pubblicata su queste colonne qualche giorno fa, ha nostalgia della normalità rappresentata dall’abbraccio di suo nonno e dei compagni di scuola, così Anna, Linda e Fabio sono l’esempio, uno dei tanti, di una normalità che da ora in poi andrà cercata nelle piccole cose quotidiane. Come una chiamata dal balcone.
La chiamata. Non esiste un appuntamento vero e proprio, ma Fabio, Anna e Linda sanno che a un certo punto della giornata sentiranno il loro nome strillato da uno degli altri due, là fuori. È il segnale, solo il tempo di chiedere l’autorizzazione a mamma e babbo e il momento più eccitante della giornata può cominciare: Linda, 5 anni e mezzo, domina tutti dal balcone di cucina al terzo piano; Fabio, 6 anni fatti da poco, compare sul ballatoio al secondo piano, sul lato di sinistro; Anna, 7 anni, tira fuori la testa dalla porta-finestra ed esce a sua volta sul balcone al secondo piano, proprio di fronte a Fabio. Indossano il giubbottino, come se dovessero andare a scuola, si armano di sedietta, bolle di sapone e fantasia, e animano per un paio d’ore le giornate, a loro stessi e a tutto il condominio.
Un vuoto da colmare. Fabio, Anna e Linda, che sino a due settimane fa si conoscevano a malapena, sono i vertici di un triangolo che ha al suo interno il vuoto: quello del cortile interno che divide tre palazzi, quello delle lunghissime giornate trascorse tra le mura di casa, a sfidare la noia e i nervi scoperti di genitori stanchi e preoccupati, a perdersi nell’affetto virtuale di lunghe videochiamate con i nonni, gli zii e i compagnetti della materna o di scuola. Tutto quello spazio, loro lo riempiono nella maniera più semplice e sorprendente: “fanno comunella”, come dicevano le maestre di una volta.
Giochi a distanza. Ogni giorno una trovata diversa, un modo gioioso per trascorrere il tempo insieme, anche se a dieci metri di distanza l’uno dall’altra: lunedì hanno letto le favole, martedì hanno fatto bolle di sapone e dato ognuno a modo suo un’interpretazione sul coronavirus; mercoledì le signorine hanno parlato di vestiti e di trucchi mentre Fabio sbuffava, giovedì hanno giocato a indovinare i colori, venerdì hanno coinvolto persino un’adulta, una ragazza del piano inferiore, e con lei si sono sfidati a raccontare favole inventate sul momento; sabato hanno litigato, domenica hanno fatto pace e hanno immaginato a voce alta di andare ai giardini pubblici e di mettersi a giocare.
Cercasi normalità. Travolti da un dramma che annienta gli adulti e uccide soprattutto gli anziani, i bambini sono in teoria quelli più al sicuro di tutti. Ma le piccole donne e i piccoli uomini di domani sono anche coloro che porteranno i segni più profondi di queste settimane nelle quali la vita è stata come sospesa. Come la piccola Rebecca, autrice della bellissima lettera pubblicata su queste colonne qualche giorno fa, ha nostalgia della normalità rappresentata dall’abbraccio di suo nonno e dei compagni di scuola, così Anna, Linda e Fabio sono l’esempio, uno dei tanti, di una normalità che da ora in poi andrà cercata nelle piccole cose quotidiane. Come una chiamata dal balcone.