La Nuova Sardegna

Sassari

Coronavirus, l'ex assessore Paci: «Piano in tre mosse per salvare la Sardegna»

Giuseppe Centore
L'ex assessore al Bilancio e vicepresidente della Regione Raffaele Paci
L'ex assessore al Bilancio e vicepresidente della Regione Raffaele Paci

«Lasciamo da parte sterili e infantili contrapposizioni. Condivido l’impostazione di Solinas, mai come ora sarà vitale l’unità tra tutti»

05 aprile 2020
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CAGLIARI. Tre mosse per non far morire la Sardegna. Rapide; da realizzarsi in poche settimane, e produrre i primi effetti entro giugno. Profonde; riguardano l'architrave politico-istituzionale, ed economica, dell'isola. Condivise; non solo tra Sardegna, altre regioni e governo nazionale, ma anche e soprattutto a casa nostra, lasciando da parte infantili e sterili contrapposizioni. Le tre mosse, tre semplici proposte «da scrivere in un quarto d'ora e da inserire nel prossimo decreto del Presidente del Consiglio ad aprile», sono avanzate da Raffaele Paci, ordinario di economia politica a Cagliari ed ex vicepresidente e assessore al bilancio nella precedente giunta regionale, guidata da Francesco Pigliaru.

Quali sono queste tre mosse e perché sono vitali?
«Dobbiamo mettere in campo adesso gli strumenti per sostenere la ripresa, quando usciremo dalla crisi epidemiologica. Prima dobbiamo valutare il campo di gioco, le norme, le leggi che sono comunque in vigore e capire se queste, così, servono alla ripresa o se addirittura non possono essere controproducenti».

Stiamo parlando anche di vincoli costituzionali?
«Sì. Gli stessi che in questi giorni sono, come dire, sospesi, e che lo possono essere per definiti periodi di tempo».

Quali sono le tre mosse che servono alla Sardegna?
«Un attimo. Prima dobbiamo disegnare lo scenario attuale. La Sardegna, come tutte le regioni e i comuni, è obbligata al rispetto del pareggio di bilancio. Lo stesso vincolo non ce l'ha lo Stato, tanto più adesso che l'Europa ha sospeso il patto di stabilità; gli interventi che il governo italiano sta realizzando (50 miliardi) sono ulteriore debito. Questo non è permesso alle regioni. Secondo problema: il bilancio della Sardegna è costituito in gran parte da parte elevate delle entrate erariali compartecipate (Iva, Irpef e altri). In tutto i 6,5 miliardi di euro. La crisi provocherà una profondissima riduzione del gettito fiscale e quindi delle nostre entrate. Cerco di essere ottimista e immagino una riduzione del 5% delle entrate. Sono 350 milioni in meno. Con le leggi in vigore saremo costretti a fare a ottobre una variazione di bilancio o che aumenti le tasse o che tagli le spese. Chi se la sente solo di proporla? Nessuno. Possiamo fare una manutenzione delle risorse esistenti o riprogrammare fondi comunitario non impegnato. Alla fine se riusciamo a liberare 100 milioni è un miracolo. Una inezia».

Si potrebbero fare mutui, accendere una linea di credito con le banche e immettere soldi, molti soldi nelle vene del sistema.
«Auspicabile ma irrealizzabile. L'articolo 119 della Carta vieta alle regioni di indebitarsi (in qualunque forma) per finanziare la spesa corrente, come il sostegno a famiglie e imprese. I mutui oggi si possono fare solo per gli investimenti, che però hanno tempi di realizzazione lunghissimi. Servono soldi entro giugno».

Ecco le tre mosse audaci.
«Siamo a un passo dal baratro. E a situazioni eccezionali servono risposte straordinarie, che sono convinto essere condivise. Primo: sospendere l'efficacia del pareggio di bilancio, e permettere alle Regioni di andare in disavanzo. Questo consente alla Sardegna di far fronte alla prevista riduzione delle proprie entrate senza ridurre la spesa già programmata. Il disavanzo potrebbe poi essere o assorbito dallo Stato o finanziato con una anticipazione di liquidità da restituire negli anni. La Regione, liberata dal vincolo del pareggio, avrebbe la possibilità di intervenire a favore dei sardi, e sostenere tutti, proprio tutti. Secondo: il governo deve autorizzare le regioni a contrarre mutui anche per spesa corrente vincolata agli interventi per l'emergenza. La Cassa Depositi e Prestiti e il sistema bancario hanno ingenti risorse e i tassi sono bassi. Terzo: stabilire che la spesa sanitaria aggiuntiva dovuta all'emergenza sia coperta da risorse statali, come è per le regioni a statuto ordinario, e non dal bilancio regionale. O ci troveremo nella assurda posizione di avere meno entrate e di dover pagare le maggiori uscite sul fronte sanitario».

Tre decisioni in capo al governo, che però ha detto che è pronto a immettere liquidità a famiglie e imprese. Una parte di questa somma arriverà anche a noi.
«E sarà insufficiente, a meno che il governo non ci trasferisca 1 o 2 miliardi in un colpo solo. Questi soldi devono arrivare ai cittadini entro giugno. Dubito che i trasferimenti statali abbiamo questa tempistica. La partita non riguarda solo la Sardegna e va giocata da tutte le Regioni alla Conferenza Stato-Regioni, ormai in seduta permanente. Ci deve essere una volontà politica in questo senso e poi ci devono essere atti con valore di legge. Non sto parlando di allentare le maglie per un tempo infinito. Basterebbe limitare le tre eccezioni alla fine dell'anno».

Una Regione che si indebita nuovamente dopo anni trascorsi a ridurre il debito. Torniamo a fare le cicale?
«No. Per tre motivi. Abbiamo le spalle larghe per indebitarci nuovamente, e con questi tassi neppure ce ne accorgeremo. Dobbiamo farlo adesso per dare linfa vitale all'economia sarda. Dobbiamo avere più soldi entro giugno o qui crolla tutto. E non è una battuta, ma la drammatica realtà».

Ipotizziamo di avere un assegno da 2 miliardi. Siamo in grado di spenderlo?
«Non automaticamente per le imprese, sì per le famiglie. Per le imprese, dagli artigiani ai piccoli commercianti, ai rivenditore di pezzi di ricambio, serve un ombrello che ci ripari dalle contestazioni dell'Unione Europea».

E qui arriviamo alla nota dolente degli aiuti di Stato. In Sardegna sono stati visti come il bastone dei burocrati contro i piccoli sardi. E invece sono permessi e legittimi, ma vanno concordati. Come?
«Il governo ha fatto la sua notifica, ha detto che sforerà il patto e farà interventi che violano le norme sugli aiuti di stato. È necessario che faccia lo stesso per le Regioni. La Sardegna può intervenire sui fondi già assegnati, cambiandone l'utilizzo, e poi usando virtuosamente il nuovo debito».

Ma la sistema amministrativo sardo è in grado di dare risposte rapide?
«Gli uffici rispondono giustamente a leggi e norme. Sono queste che vanno cambiate. Il resto seguirà. Oggi serve dare soldi e semplificare i processi».

Chi deve gestire i fondi, con quali strumenti? Straordinari?
«Non c'è bisogno di nuovi soggetti. Gli uffici della Presidenza sono in grado di guidare la macchina. Vedo nel dibattito politico grande unità, e ragionamenti simili. Ho letto le dichiarazioni del presidente Solinas e condivido le sue attenzioni e il suo approccio. Ho cercato individuare un percorso tecnico da attuare subito. In tre giorni il consiglio regionale con un elevato senso di responsabilità e condivisione può approvare norme attuative delle tre proposte chiare e ineccepibili. Ogni settimana che passa interi pezzi del sistema sardo vanno in coma; sono a un passo dalla liquidazione. Dobbiamo intervenire ora, anche rischiando».

@gcentore

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