La Nuova Sardegna

Sassari

Università di Sassari, verso le elezioni. Innocenzi: «Un Ateneo aperto e internazionale»

di Roberto Sanna
Plinio Innocenzi
Plinio Innocenzi

Parla il terzo candidato alla successione del rettore Massimo Carpinelli. «Non abbiamo bisogno di amministratori ma di docenti e ricercatori»

25 giugno 2020
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SASSARI. «Una candidatura di rottura? No, non la metterei in questi termini. Sarebbe meglio dire che la mia è una candidatura indipendente, al di fuori dei vari gruppi all’interno dell’Ateneo, che pure sono legittimi. Scendo in campo come elemento di profonda diversità grazie alla mia esperienza personale, molto internazionale, e quindi super partes». Plinio Innocenzi, professore ordinario di Scienza e tecnologia dei materiali del dipartimento di Chimica e Farmacia, dove è responsabile del laboratorio dei materiali e nanotecnologie, si presenta alla corsa per la successione di Massimo Carpinelli con l’idea di portare un valore aggiunto: aprire i confini dell’Università grazie all’internazionalizzazione, trattenere i migliori studenti, attrarre le eccellenze, restituire un ruolo primario all’Ateneo sassarese. Le elezioni del rettore dovrebbero svolgersi tra settembre e ottobre ma ancora Carpinelli non ha fissato la data, Plinio Innocenzi esce comunque allo scoperto sulle pagine della Nuova Sardegna che già avevano ospitato, nei giorni scorsi, Gavino Mariotti e Giampaolo Demuro nel percorso di presentazione dei candidati.

Il ruolo dell’Università. «Dobbiamo renderci conto che la riforma Gelmini ha portato a una polarizzazione delle risorse verso i grandi centri, svuotando di conoscenze gli atenei come quello sassarese che assistono alla migrazione dei più bravi verso il Nord Italia. Dobbiamo cambiare prospettiva, recuperare attrattività e qualità. Quello che mi ha stupito ascoltando gli altri candidati è che non si stia cogliendo il senso dell’emergenza che ci ha travolto, saremo costretti a riorganizzarci e da questo dobbiamo ripartire anche nella nostra Università: sarà necessario ridefinire nuove modalità di fare didattica e ricerca tenendo presente che le nostre vite saranno profondamente diverse. È comunque una grande opportunità per sperimentare, non possiamo perderla e per questo dovremo avere una forza progettuale straordinaria. Partendo da un nostro punto di forza che è la forte identità storica e radicata nel territorio, dobbiamo aprirci a una dimensione nazionale e internazionale: non credo che il nostro potenziale possa trovare la sua espressione nella Corsica e nelle Baleari, dobbiamo andare oltre un orizzonte così ristretto. Così come quando si parla di progetti, bisogna puntare a quelli veramente grossi».

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Università e territorio. «Questa Università ha formato per anni la classe dirigente che è stata a lungo al centro della politica nazionale, sono profondamente convinto che debba ritornare a occupare un ruolo di rilievo in un processo di innovazione e cambiamento. Parole che non deve rimanere uno slogan ma un’azione per la creazione di ricchezza e lavoro per il territorio. A Sassari l’Università è la più grossa azienda del territorio ed è un’anomalia. Nel senso che se andiamo a vedere altre città, faccio l’esempio di Padova ma ce ne sono altre, l’ateneo è al centro di un sistema di altre realtà collegate, una sorta di cerchi concentrici. Qui no, tutto comincia e finisce dentro l’università, è un mondo chiuso. Definire vecchio questo modello non rende l’idea, rinchiudersi in un ruolo locale significa arretrare e regredire fino a diventare una “teaching University”, una sorta di super-liceo, e questo non aiuta il territorio perché gli studenti continueranno ad andare via e si rischia di chiudere. Invece dobbiamo aver chiaro quali dovranno essere il ruolo e la visione nel panorama nazionale e internazionale, dobbiamo diventare attrattivi. E lo si diventa solo se si crede che si può cambiare innovando e migliorando la didattica e la ricerca».

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Il cambiamento. «Innanzitutto non servono solo le risorse. O meglio, le risorse da sole non bastano se non si cambia atteggiamento. L’internazionalizzazione, in un processo di cambiamento, è fondamentale, ma anche qui bisogna darsi obiettivi chiari: per esempio, in sei anni arrivare ad avere il dieci per cento di studenti stranieri. Non è semplice perché implica un lavoro a tutto tondo, non solo sul versante dell’offerta didattica. Servono strutture, e non c’è bisogno di costruirne nuove, serve un’accoglienza di un certo tipo. Intendo un ufficio dove si parli non solo l’inglese ma anche il russo, il cinese e l’arabo, dove ci sia un collegamento veloce con la questura per i visti. Un sistema di accoglienza altamente specializzato che potrebbe portare Sassari al centro di una rete di università europee che si sta formando in questo momento storico. Perciò dobbiamo attivare lauree internazionali a doppio titolo, corsi in inglese, corsi di formazione nelle lingue e nella cultura italiana. Tenendo conto che partiamo comunque da una buona base, il nostro Ateneo eroga servizi di buon livello e la città e il territorio sono accoglienti: un insieme di cose che agli studenti piacciono. Sassari deve guardare al futuro con ottimismo e ambizione, ora è rinchiusa in se stessa rimanendo al di fuori dei cambiamenti. Resta una delle mete più popolari per l’Erasmus ma quando si passa alla didattica curriculare l’entusiasmo scema. Significa che ci sono grandi potenzialità ma bisogna lavorarci».

Didattica e ricerca. «Il processo di apprendimento non può prescindere dal rapporto diretto del docente con l’allievo. Non dobbiamo dimenticare che le nuove modalità possono essere utilizzate sia nella formazione, sia per attrarre studenti altrimenti esclusi, ad esempio quelli con disabilità. Un altro aspetto fondamentale e complesso è quello della ricerca. Per un ateneo come quello di Sassari fare ricerca competitiva è difficile, perché servono grandi strutture e grandi investimenti. L’ideale è individuare delle aree tematiche e dei ricercatori sui quali puntare. Mi piacerebbe creare due poli, uno tecnico-scientifico e un altro umanistico che sarebbe assolutamente unico: vedrei bene un hub di formazione agroveterinaria capace di diventare un punto di riferimento per tutto il Mediterraneo e non dimentichiamo che c’è sempre grande richiesta per la cultura italiana. Un punto sul quale mi voglio soffermare e al quale tengo parecchio è la parità di genere: a Sassari la percentuale di professori associati donne è del 36 per cento ma nella fascia degli ordinari cala al dieci per cento: sintomo di un qualcosa che non è stato governato nel modo giusto. Stessa cosa per il personale tecnico-amministrativo, che ha bisogno di pari opportunità».

La corsa elettorale. «Con gli altri candidati abbiamo ovviamente idee diverse ma tengo a dire che c’è un ottimo rapporto e stima reciproca. Una cosa che ci accomuna è che tutti vorremmo creare una comunità coesa, è fondamentale perché ci attendono sfide importanti. Non dò un giudizio sul mandato di Massimo Carpinelli: adesso bisogna solo guardare al futuro, ci sono troppe polemiche. Bisogna partire da quello che c’è di buono e partecipare al cambiamento, vivere la crisi affrontando il mondo diversamente. L’Università non è un centro di potere, è un luogo dove si crea conoscenza e la si trasmette. E per guidarla servono docenti e ricercatori, non amministratori. Il senso della mia candidatura vuole essere quella di mettere a disposizione la mia esperienza per aprire l’Università verso l’esterno in modo competitivo partendo da radici forti. E poi, anche se non sono sardo di nascita, mi sento in debito perché in questa terra credo di aver ricevuto più di quanto ho dato e vorrei fare qualcosa di importante».

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