La Nuova Sardegna

Sassari

Tamponi, a Sassari l’odissea di una coppia

Paoletta Farina
Tamponi, a Sassari l’odissea di una coppia

Un tassista risultato positivo e la compagna gallurese: «Chiusi in casa da settimane»

14 settembre 2020
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SASSARI. Chiusi in casa da settimane, in attesa di un nuovo tampone che dovrebbe liberarli dall’angoscia di essere malati. È un’odissea quella che sta vivendo una giovane coppia, lui sassarese, lei di un paese vicino a Olbia, dove vivono, con una bambina di pochi mesi che da quando è nata ha conosciuto soprattutto le mura domestiche e non può nemmeno abbracciare il padre. Tutti e tre vittime del caos scoppiato quando quest’estate il coronavirus ha ripreso il sopravvento in Sardegna.

Raccontano pacatamente, senza acrimonia, nonostante «quello che ci è capitato e ci sta capitando non dovrebbe succedere. Non vogliamo dare colpe a nessuno, comprendiamo anche l’emergenza, però ci siamo trovati davanti a una tale disorganizzazione che ci ha lasciato stupefatti. Possibile che non ci sia modo di porvi rimedio?».

Tutto è cominciato quando lui è tornato a casa dal lavoro, la sera di venerdì 20 agosto, con un febbrone da cavallo e i linfonodi ingrossati. Il giovane fa il tassista a Porto Cervo, la Costa Smeralda, in quei giorni, era già diventata la “zona rossa” d’Italia e la prima cosa che ha pensato è stata: «Mi ha contagiato il virus qualche cliente».

Però quando stai male nel fine settimana le cose si complicano sempre. Il medico di famiglia aveva già finito l’orario di lavoro, e così la donna ha cominciato a smanettare su Google per trovare un numero di riferimento a cui rivolgersi. Chiama l’Ats di Cagliari e spiega la situazione, ma le rispondono che ci si deve mettere in lista d’attesa.

È un week end passato tra telefonate e invio di mail: la guardia medica, il pronto soccorso e pure i carabinieri. Al pronto soccorso di Olbia la chiamata viene indirizzata al 118: chiedono se il paziente abbia necessità di un ricovero. «Nonostante la febbre alta, anche a 40 gradi, non c’erano però altri sintomi importanti». Lunedì 23 agosto la coppia cerca di mettersi di nuovo in contatto con l’Ats: «Avremo fatto almeno sei o sette telefonate, ma non ci ha mai risposto nessuno. Nel frattempo anche il medico di famiglia si muove. «Alla fine dall’Igiene e prevenzione pubblica dell’Asl di Olbia otteniamo la risposta: tampone il 26 agosto». Il tampone sarà eseguito drive in a Olbia, il tassista si mette in auto debole e febbricitante, in coda per aspettare il suo turno. Gli dicono che avrà il risultato dopo due giorni e invece ce ne vogliono quattro. E purtroppo è positivo. La compagna si mette in quarantena volontaria, riesce a fare a suo volta il test ed è negativo. Ma c’è anche la piccola che avrebbe bisogno dell’esame. «Anche in questo caso per ottenerlo è stata una battaglia, ma alla fine non siamo riusciti a farglielo fare. Ci avevano convocato con urgenza, credevamo che avremo avuto una corsia preferenziale». Invece mamma e neonata si ritrovano in fila all’aperto con una cinquantina di persone, alle 11 del mattino. «Quando ho visto la situazione sono andata via. Non potevo aspettare con mia figlia chissà quanto».

E adesso il capitolo finale. Il tassista doveva essere sottoposto al secondo tampone dopo 14 giorni. «Secondo noi siamo già in ritardo, comunque ci hanno dato appuntamento per domani. Ci chiediamo se almeno questa data verrà rispettata, perché ormai abbiamo poca fiducia».

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