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Sassari, il caso: «Sequestrato in casa da un mese»

di Luca Fiori
Sassari, il caso: «Sequestrato in casa da un mese»

L’avvocato Daniele Solinas ha contratto il Covid a metà ottobre ma nessuno gli dà l’ok per uscire

13 novembre 2020
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SASSARI. «Sono letteralmente sequestrato in casa. Abbandonato da un sistema sanitario inadeguato ad assistere la popolazione e intervenire, perché ignora le circolari del suo Ministero di riferimento, non essendo dotato di organizzazione, distribuzione di ruoli e responsabilità».

Daniele Solinas, avvocato sassarese di 46 anni, è l’ennesima vittima di un sistema di gestione dell’emergenza sanitaria che negli ultimi mesi ha mostrato più di qualche falla. Il legale ha contratto il Covid a metà ottobre, si è chiuso immediatamente in casa, ma dopo trenta giorni trascorsi nel suo appartamento – e nonostante non abbia più sintomi dal 23 ottobre – non può ancora uscire e tornare a svolgere il suo lavoro.

«Perché – spiega – nessuna autorità sanitaria si assume la responsabilità di liberarmi, come prevede invece la circolare del Ministero dopo 21 giorni di isolamento».

La sua disavventura tra Covid e burocrazia inizia la mattina del 14 ottobre quando si rende conto che qualcosa non va. «Ho la temperatura a 37,5 e quindi decido di mettermi in isolamento fiduciario – racconta l’avvocato – mi comporto da bravo cittadino, avviso il mio medico che mi dice di attendere, sperando si tratti di un colpo d’aria. Il 15 ottobre la temperatura raggiunge 38». A quel punto il medico di famiglia gli prescrive l’antibiotico, la Tachipirina e richiede il tampone. A differenza di molti pazienti, nella sfortuna il legale è fortunato perché la febbre scompare quasi subito, in due o tre giorni.

«Rimane la tosse e la sensazione di non respirare bene – spiega il legale – una sensazione però, perché il saturimetro registra sempre valori nella norma». Il 17 ottobre l’avvocato Solinas viene contattato dalle Usca, unità speciali di continuità assistenziale formate da medici, il cui scopo è quello di assistere a domicilio i pazienti affetti da Covid che non hanno bisogno di un ricovero. «Il 19 ottobre – spiega Solinas – vengono a farmi il tampone. Sembra tutto perfetto, ma non sarà così».

Il 22 il legale scopre di essere positivo non perché qualcuno glielo comunichi, ma leggendo il referto sul fascicolo sanitario elettronico cui accede grazie allo spid, il sistema unico di accesso con identità digitale ai servizi online della pubblica amministrazione, che ha attivato in passato. «Nessuno si fa sentire per comunicarmi che ho il Covid, per chiedere come stia – si lamenta il legale – mi chiamano le Usca qualche giorno dopo ma nessuno mi chiede quali siano stati i miei ultimi contatti, nessuno mi chiede se avessi scaricato la app “Immuni”, che avevo installato, ovviamente, ma che può essere utilizzata solo dalle autorità sanitarie. Sono io che per tutto il giorno, contatto amici, colleghi, clienti e magistrati incontrati fino al giorno prima la comparsa dei primi sintomi, per comunicare la mia positività e invitarli a monitorare la loro situazione fisica, se non anche a isolarsi o, quantomeno, fare il tampone».

A fine ottobre le Usca ricontattano il legale e fissano il secondo tampone per il 2 novembre. L’esito però si perde nel viaggio tra l'Istituto Zooprofilattico e le Unità di continuità territoriale. Due giorni fa il legale fa un terzo tampone, ma fino a quando non avrà l’esito non potrà muoversi di casa. «Mi troverò ad affrontare il paradosso di attirare l'attenzione sulla mia vicenda – conclude amaramente – violando la quarantena seppure di qualche passo rispetto al confine del mio domicilio, e chiamare i carabinieri affinché, oltre a identificarmi, accertino chi siano questi signori che continuano impunemente a commettere errori sulla pelle delle persone oneste».

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