La Nuova Sardegna

Sassari

Addio al medico dal cuore d’oro

di Luigi Soriga
 Addio al medico dal cuore d’oro

Alessandro Fiori, 64 anni, aveva l’ambulatorio in piazza Santa Maria. Altri 22 colleghi positivi e 2 gravi

20 novembre 2020
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SASSARI. Si muore di Covid anche con un ricettario in mano, o con lo stetoscopio, o facendo una vaccinazione. Senza per forza irrompere, bardati dalla testa ai piedi, nelle case dei malati. È il virus a bussare alla porta, non c’è bisogno di andare a trovarlo. Ventidue medici di base positivi in provincia di Sassari, due ricoverati in condizioni serie.

Alessandro Fiori, medico di base e cardiologo sassarese di 64 anni, è morto l’altra notte nel reparto di Neurologia dell'Aou di Sassari ora convertito in area Covid. Mancava dal proprio ambulatorio da una settimana, aveva accusato i primi sintomi e si era sottoposto a terapia domiciliare. Come da protocollo antibiotici ed eparina. Ma non basta nemmeno un occhio clinico, un saturimetro, o vivere sulla propria pelle l’evoluzione di questa patologia, per domarne la corsa. Quando il virus dalla faringe comincia la sua discesa e intacca l’interstizio polmonare, dalla banale influenza o tosse si passa in un batter d’occhio alla fame d’aria. Alle 9 del mattino il saturimetro può segnare valori sopra i 94, alle 11 un paziente può ritrovarsi intubato.

Il quadro clinico di Alessandro Fiori è precipitato nell’arco di tre giorni. Non aveva particolari patologie, è sempre stato un amante dello sport. Quando è stato accompagnato in ambulanza in ospedale, accusava già un deficit respiratorio. Da quel momento è stata una inesorabile discesa.

Il suo ambulatorio storico era in corso Vittorio Emanuele, ma da un anno si era trasferito in Piazza Santa Maria, all’inizio di Corso Vico. Le scorse settimane aveva vaccinato numerosi pazienti, e non mancava mai di prestare servizio nella struttura di San Giacomo, facendo visite cardiologiche gratuite a chi non poteva permettersi di pagare un ticket.

Era un medico molto conosciuto e stimato, e nella sua carriera aveva vegliato su migliaia di famiglie.

Purtroppo i medici di base spesso operano in questa battaglia con armi spuntate. Ormai lavorano solo per appuntamento, il paziente chiama, (il cellulare squilla anche 100 volte al giorno) il medico fa il triage telefonico, poi, se necessario, fissa in agenda prenotazioni a intervalli di 20 minuti, e le sale d’attesa rimangono vuote, solo quattro sedie disponibili per chi non può stare in piedi. Il medico disinfetta il lettino prima che entri il paziente, e poi spruzza di nuovo il prodotto appena esce. Usa doppia mascherina, e anche il paziente resta protetto. Ma a volte c’è l’oscultazione, la palpazione, e le tonsille da controllare. Le precauzioni, se non sei bardato come un astronauta, non sono sufficienti.

Per questo i medici di base si sono caparbiamente rifiutati di fare visite a domicilio ai pazienti positivi: «E tutti gli imbecilli che attaccano la nostra categoria tirando in ballo il giuramento di Ippocrate – dice il segretario provinciale della Fimmg Antonello Desole – dovrebbero riguardarsi il primo punto che recita: “primum non nocere”. Cioè non fare male agli altri. Perché non si mette a rischio la vita propria e quella degli altri mille assistiti per una visita inutile. Per questi servizi ci sono le Usca, con medici dotati di tutti i dpi adeguati. Un medico di base che va a trovare un paziente covid, che si veste e si sveste da solo, diventa automaticamente un medico infetto».

La prova è semplice. Gli indumenti per operare in sicurezza sono questi: sovrascarpe, calzari, tuta, doppio paio di guanti, doppia mascherina e visiera. Si entra nella casa del contagiato. Lo si visita e poi si esce, con i dispositivi di protezione contaminati. A quel punto c’è la fase cruciale della svestizione, presumibilmente nello stesso pianerottolo. E qui il test: basta prendere una tuta, bagnarla, e provare da soli a inserirla all’interno di una busta della spazzatura. Se l’involucro esternamente risulta umido, significa che è infetta. E che quella busta porterà a spasso il virus. Nelle mani di chi la afferra, nell’auto che la trasporta, e poi ancora in tutti gli oggetti che verranno toccati.

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