La Nuova Sardegna

Sassari

«Recluso in casa da 37 giorni»

di Silvia Sanna
«Recluso in casa da 37 giorni»

Covid, un parrucchiere di Ploaghe: ho fatto il tampone il 12 novembre ma il referto è sparito

24 novembre 2020
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SASSARI. La voce si spezza quando dice «sono recluso da 37 giorni in casa. Ha capito? 37 giorni senza lavorare, senza guadagnare un euro. E ora scopro che del mio tampone non c’è traccia. Mi sento preso in giro». Tomaso Pinna ha 60 anni ed è titolato di un salone da parrucchiere a Ploaghe, il suo paese. La serranda è abbassata dalla metà di ottobre, da quando Tomaso ha scoperto di avere contratto il Covid. E come lui anche sua moglie. «Sono stato portato in ospedale perché non stavo bene, avevo difficoltà respiratorie. Il tampone purtroppo ha confermato i sospetti – racconta il parrucchiere – Ma in ospedale sono stato soltanto un giorno: ho seguito la terapia a casa assistito dal personale dell’Usca». Da diversi giorni Tomaso sta bene, il respiro è tornato regolare, l’affanno non c’è più. Lui è ottimista, sente di essere guarito. Il problema ora è solo uno: avere la conferma dal tampone, che deve certificare l’avvenuta negativizzazione. A quel punto Tomaso Pinna potrà riaffacciarsi alla vita e risollevare la serranda impolverata del salone. «E io il tampone l’ho fatto, più di 10 giorni fa. Ma l’esito non c’è. Anzi pare proprio che del mio test non ci sia traccia».

L’attesa. È il 12 novembre quando Tomaso Pinna e la moglie si sottopongono al secondo tampone. Lo fanno tramite gli operatori dell’Usca. l’Unità speciale di continuità assistenziale del distretto di Sassari, con sede al presidio San Camillo. Dopo quattro giorni la moglie del parrucchiere riceve la notizia più desiderata: l’esito è negativo, il Covid è stato sconfitto. Tomaso invece no, per lui non ci sono buone nuove. «Come mai – mi domando – considerato che abbiamo fatto il tampone insieme?». Il parrucchiere aspetta ancora ma sente che la pazienza sta per finire. Nel frattempo le bollette non vanno in lockdown: «In questi giorni sto ricevendo tanti avvisi di pagamento. Leggo gli importi e penso: come faccio? Non sto lavorando, il salone è chiuso, dove trovo i soldi?». La sua attività resterà in quarantena insieme a lui, l’unica dipendente non è in grado di mandare avanti il salone da sola. Il livello di disperazione sale e l’unico sfogo diventa il telefono. «Inizio a chiamare tutti i numeri che ho a disposizione per chiedere notizie sull’esito del tampone. Ma nessuno mi risponde. Sino a poco fa (ieri mattina ndr)».

Tampone cercasi. La comunicazione con gli addetti dell’Usca è sintetica: «Signor Pinna, non risulta da nessuna parte un test eseguito a suo nome. Quindi non c’è traccia del referto». Il parrucchiere non crede alle sue orecchie: sente che il tempo è trascorso invano, che la scadenza della reclusione domiciliare si allontana: niente esito negativo, niente libertà e niente lavoro. Tomaso Pinna si scalda, si agita parecchio, si dichiara pronto a uscire di casa, pur non avendo il permesso, e ad andare a protestare di persona: «Voglio fare chiasso, voglio denunciare il trattamento ingiusto e vergognoso che sto subendo». Poi si calma e ragiona, capisce che lo stress unito alla sofferenza per la malattia e per la lunga reclusione, può giocare brutti scherzi e fare perdere la lucidità. «Sono una persona tranquilla, un lavoratore. Questo voglio fare: lavorare. Nulla di più. Capisco le enormi difficoltà del periodo – aggiunge Tomaso Pinna – ma è incredibile sentirsi dire che del mio referto non c’è traccia. Ma ci pensano a chi come me deve lavorare per vivere? Chi mi darà i soldi per pagare le bollette? Lo Stato? Io non chiedo elemosine a nessuno, chiedo che i miei diritti siano rispettati. Sono chiuso in casa da 37 giorni, voglio uscire e ricominciare a vivere».

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