La Nuova Sardegna

Sassari

Zdenka ferita a morte mentre proteggeva la figlia

Nadia Cossu
Zdenka ferita a morte mentre proteggeva la figlia

Il racconto drammatico dei testi: «Fadda le urlava: “È colpa tua, volevi questo!”».  La 40enne uccisa davanti alle sue bimbe: «Una chiedeva aiuto, era terrorizzata»

15 dicembre 2020
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SASSARI. Una donna la sera del 15 febbraio del 2019 si presenta dentro il “British Cafè” di Sorso con una vestaglia da camera azzurra. «Aveva gli occhi del terrore» e «chiedeva aiuto». Tenendo in braccio stretta a sè la figlia di undici anni tetraplegica, Zdenka Krejikova scappava dalla furia del suo compagno Francesco Baingio Douglas Fadda.

«Ma dove vuoi andare? Volevi questo! È colpa tua, è colpa tua!» urlava lui entrando nello stesso bar qualche secondo dopo: «Aveva un coltello in mano, Zdenka a un certo punto forse è scivolata vicino al bancone, inginocchiata faceva da scudo alla bambina, lui gliel’ha strappata dalle braccia e ha colpito la donna con violenza. Poi ha gettato il coltello per terra, ho visto la lama piegata... Nel frattempo l’altra figlia gemella urlava e chiedeva aiuto per la sua mamma».

Sono dettagli drammatici e a tratti raccapriccianti quelli raccontati ieri mattina dai testimoni citati dal pubblico ministero Paolo Piras nel processo che si sta celebrando davanti alla corte d’assise presieduta da Massimo Zaniboni. Sono stati loro a ricostruire la dinamica dell’omicidio della quarantenne di origine ceca uccisa davanti alle due figlie gemelle da Fadda che oggi si trova rinchiuso in carcere con le accuse di omicidio volontario aggravato, tortura, sequestro di persona, resistenza. Ieri l’imputato era in aula, a fianco al suo avvocato Lorenzo Galisai. Jeans e piumino azzurro, non più la testa rasata, ha solo fatto qualche cenno di disappunto durante alcune testimonianze.

Ed è proprio da questi racconti che sono emersi i particolari di quella terribile sera. Zdenka dopo esser stata colpita dal compagno provò a rialzarsi: «Ricordo che fece qualche passo – ha detto un avventore – poi si è accasciata di nuovo. A quel punto è entrato lui e l’ha presa in braccio per portarla in macchina». Francesco Douglas Fadda, dopo aver accoltellato la vittima effettivamente uscì dal bar portando con sè la bambina disabile, tornò dopo qualche istante a bordo di una Bmw bianca e rientrò nel locale: «Adesso andiamo in ospedale, tranquilla» avrebbe detto a Zdenka che ancora respirava. «Io volevo chiamare i soccorsi – ha raccontato Francesca Roggio, una donna che si trovava lì in quel momento – ma Fadda mi disse di poggiare il telefono perché ci avrebbe pensato lui».

Non lo fece, perché la tappa successiva non fu l’ospedale (dove se invece fosse andato subito avrebbe forse potuto salvare la vita alla compagna), fu piuttosto la casa di un amico, a Ossi. E ci andò portandosi dietro le bambine che nel tragitto in auto hanno assistito all’agonia della loro madre. «Ero andato al bar a comprare le sigarette – ha raccontato Pietro Marcello Ippolito – quando sono rientrato a casa il portone era sfondato e spalancato. Ho visto Francesco che trascinava su per le scale quella donna, mi chiedeva di aiutarlo. Disse che si era accoltellata da sola, lei era agonizzante. Abito a 30 metri dalla guardia medica, gli dissi che sarei andato a chiamarla e mi diede un pugno intimandomi di non fare nulla. Andai ugualmente, la dottoressa venne subito a casa insieme a me e mentre erano in atto i soccorsi lui è andato via con le bambine».

«Una scena raccapricciante – così ha definito la dottoressa Maria Vittoria Scanu ciò che le apparve davanti agli occhi – mi colpirono come prima cosa le bambine, una impietrita mi ha indicato la mamma che aveva bisogno di aiuto, l’altra sorellina era sdraiata sul divano in preda a una crisi convulsiva. Chiamai la medicalizzata, la donna emetteva gemiti. Volevo prendermi cura delle bambine ma quando sono risalita, dopo i soccorsi dentro l’ambulanza, non c’erano più. Per me è stato devastante». Domanda del pm: «Pensa che la bambina affetta da tetraparesi abbia percepito quello che succedeva?». Risposta: «Chi soffre di queste patologie è ancora più sensibile dal punto di vista emotivo. Quindi la risposta è sì». Il processo è stato aggiornato all’11 gennaio.

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