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Sassari

L'ex ostaggio Titti Pinna in aula a Sassari: «Una voce mi disse “scappa”»

L'ex ostaggio Titti Pinna in aula a Sassari: «Una voce mi disse “scappa”»

Di nuovo davanti ai giudici per il processo-ter contro uno dei presunti sequestratori

22 gennaio 2021
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SASSARI. «Mi auguro che sia l’ultima volta che ci vediamo in quest’aula e mi rammarico di doverle chiedere di ricordare ancora quella terribile esperienza che ha dovuto vivere quindici anni fa».

Mancano pochi minuti alle 13 quando Giovanni Battista Pinna fa il suo ingresso nell’aula della corte d’assise di Sassari e il pubblico ministero della Dda di Cagliari Gilberto Ganassi quasi si scusa con l’ex ostaggio di Bonorva oggi 51enne, invitato per la terza volta a rivivere il dramma della prigionia e a raccontare in aula i suoi otto mesi all’inferno.

«Una voce mi disse di andare – ha spiegato Titti Pinna ai giudici – e così il 28 maggio del 2007 mi feci coraggio e dopo aver tagliato con una forchetta il fil di ferro che teneva bloccata la catena che avevo al collo riuscì a fuggire».

Quella di ieri è stata la prima udienza del processo-ter che vede unico imputato il 52enne di Macomer, Giovanni Sanna, noto “Fracassu”, difeso dall’avvocata Desolina Farris.

Ai giudici della corte d’assise presieduta da Elena Meloni (a latere Valentina Nuvoli) l’ex sequestrato – qualche capello bianco, ma il solito sorriso di chi ha visto la morte in faccia, ma è tornato alla vita – ha raccontato le fasi drammatiche del prelievo avvenuto il 19 settembre del 2006 nella sua azienda alle porte di Bonorva e l’incubo della prigionia, durante la quale perse la cognizione del tempo.

«Rimasi per otto mesi con una catena al collo – ha detto Giovanni Battista Pinna – e con una maschera di cuoio sugli occhi che mi impediva di vedere. Il giorno del rapimento – ha aggiunto l’allevatore di Bonorva – mi puntarono un fucile in faccia e minacciarono di uccidermi, poi mi spaccarono il setto nasale con il calcio di una pistola. All’inizio volevo morire – ha detto ai giudici l’ex ostaggio – poi mi feci forza per i miei familiari e iniziai ad accettare il cibo che all’inizio avevo rifiutato». Titti Pinna, rimasto rinchiuso per otto mesi in uno spazio strettissimo ricavato all’interno di un fienile nelle campagne di Sedilo, ha confermato ieri mattina di non aver mai visto in faccia i suoi rapitori ma di aver solo sentito le loro voci. Prima di lui si era seduto sul banco dei testimoni il sostituto commissario Piergiuseppe Foddai, responsabile della sezione criminalità della squadra mobile di Sassari, uno degli investigatori che si occuparono delle indagini del sequestro sin dal primo giorno. Il poliziotto ha ripercorso le fasi del processo e spiegato come si arrivò a individuare la banda dei sequestratori. Dopo la deposizione, iniziata con un segno della croce, Titti Pinna ha lasciato il palazzo di giustizia insieme alla sorella Maria Margherita, la stessa a cui il giorno della liberazione diede al telefono la notizia della fine dell’incubo: «Sono fuggito, sono a Sedilo venite a prendermi». (l.f.)

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