La Nuova Sardegna

Sassari

Le nozze non erano finte «Il permesso va rinnovato»

di Nadia Cossu
Le nozze non erano finte «Il permesso va rinnovato»

Una cinese sposa un sassarese, poi i due si separano e la questura la espelle Lei, che lavora in città, fa ricorso. Il Tar annulla il diniego e condanna il Ministero

07 febbraio 2021
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SASSARI. Il matrimonio in Cina e dopo una breve permanenza lì, nel Paese d’origine della sposa, marito (sassarese) e moglie decidono insieme di trasferirsi in Sardegna. Prima a Terralba e poi a Sassari.

Ma molto presto il rapporto manifesta tutte le sue difficoltà e in seguito a una serie di maltrattamenti (tutti rilevabili da certificati medici) la moglie nel 2014 denuncia il marito sostenendo tra l’altro che lui la picchi e la schiavizzi. E decide anche di lasciarlo. Ha il suo lavoro come sarta in un negozio di abbigliamento e per un po’ la sua vita procede in serena solitudine. A un certo punto decide di tornare insieme al coniuge ma le cose non vanno bene, lo lascia per la seconda volta e stavolta (siamo nel 2017) è lui a denunciare lei per maltrattamenti. L’uomo lamenta infatti che la moglie non gli prepari da mangiare, che lo lasci solo in casa e che non adempia ai “doveri coniugali”.

Siamo nel 2018 e, dopo la separazione consensuale dal marito, la donna chiede alla questura di Sassari il rinnovo-conversione del permesso di soggiorno “per motivi di lavoro” e non più “per motivi di famiglia”. Le viene negato e viene espulsa con tanto di accompagnamento aereo a Ponte Galeria (poi riuscirà comunque a tornare a Sassari).

La donna si rivolge agli avvocati Giuseppe Onorato e Maria Paola Cabitza che presentano ricorso al Tar per l’annullamento del decreto adottato dal questore di Sassari il 24 settembre del 2019 con il quale veniva rigettata l’istanza di rinnovo con conversione del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Il Tar due giorni fa lo ha accolto e ha condannato il Ministero al pagamento di 2500 euro.

Come è spiegato nella sentenza, il questore avrebbe «esaminato e preso in considerazione solo la denuncia del 2017 che sarebbe stata presentata dal marito contro la moglie, atto peraltro neppure depositato in giudizio dalla difesa erariale». I giudici del tribunale amministrativo aggiungono che nel caso specifico «non può ritenersi che il vincolo matrimoniale sia stato contratto in modo fraudolento, come sostiene la questura, al solo fine di aggirare la normativa in materia di permesso di soggiorno». Considera, poi, il Tar «sussistente il danno grave e irreparabile, essendo stato emesso anche il decreto di espulsione» nei confronti della donna.

In virtù di tutte queste valutazioni (le stesse già espresse in sede cautelare) i giudici hanno ora depositato la sentenza con la quale annullano il diniego della conversione del permesso evidenziando «sia la carenza di istruttoria, sia l’illegittima valutazione della situazione soggettiva della donna (e del suo legame coniugale)». Per i giudici «sussistono tutti gli elementi per poter disporre la conversione del titolo per lavoro subordinato, considerata l’attività svolta come dipendente (e documentata in giudizio), con prosecuzione della possibilità di permanere nel territorio nazionale, potendo mantenersi con fonti lecite».

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